Il pugile è all'angolo. Dopo un paio di riprese pimpanti (Conte era sicuro di avere la fila di responsabili) il presidente del Consiglio rischia di finire al tappeto. Il timing del Colle sulla crisi è quasi scaduto. Il premier è giunto al bivio: getta la spugna e si dimette o va allo scontro frontale in Aula. Sulla relazione Bonafede, attesa al doppio passaggio parlamentare tra mercoledì e giovedì, si gioca il match decisivo. Sul tavolo di Palazzo Chigi si valutano le opzioni per uscire dall'angolo. Nella sede del governo aleggia ora l'ombra dei sospetti: si teme il doppiogioco del Pd. Leale fino a che punto? E anche sul ministro degli Esteri Luigi di Maio crescono i dubbi. Gli appelli alla «soluzione Ursula» vengono letti da Casalino e Conte come la mossa del cavallo per far saltare in aria l'avvocato del popolo. Anche se dal fronte Pd Andrea Orlando blinda l'alleanza giallorossa: «Un'altra strada che viene proposta è quella di sostituire Conte con un altro presidente del Consiglio. Ci sono ostacoli che la rendono impercorribile. Il primo è che Conte è un punto di equilibrio in una maggioranza tenuta con gli spilli. Il secondo è che non sarebbe giusto, perché riteniamo che questo governo non abbia lavorato male, e questo penso l'abbia capito anche larga parte dei nostri elettori. Io ho manifestato molte critiche a Conte, non sono un fan, ma le nostre critiche sono state sempre costruttive».
Mentre Goffredo Bettini spinge il capo dell'esecutivo alla ricerca dei moderati: «Ci rimane soltanto di cercare nelle prossime ore di costruire un gruppo politico dentro il Parlamento che non sia un recipiente vuoto di idee per mettere insieme transfughi ma che sia una cosa che politicamente esiste ed è fortissima, perché certe forze sono prigioniere dell'altro campo. Ho letto Brunetta su Europa e Recovery fund. Deve essere un'operazione politica con tutte le forze di buona volontà che credono nell'Europa, che non vogliono stare sotto il tallone di Salvini e Meloni ma dovrebbero essere il primo nucleo di un'area moderata, liberale. Così si isolerebbero le forze di destra».
Ma l'operazione «buona volontà», evocata dall'eminenza grigia del Pd, non decolla. A Palazzo Chigi si studiano le contromosse. L'asse nella manica non c'è. Si temporeggia. Si rinvia. La conta in Senato sulla relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede sullo stato della Giustizia potrebbe slittare. È la prova del fuoco per la maggioranza. Il momento della verità era atteso mercoledì con la relazione che Bonafede avrebbe tenuto alla Camera e, si pensava, subito dopo al Senato. È a Palazzo Madama, infatti, che la maggioranza ha numeri più risicati ed è in quella sede che sarebbero potuti arrivare problemi seri. All'ultimo voto di fiducia, la maggioranza si è fermata a 156 voti, 5 in meno della maggioranza assoluta e con l'astensione di Italia Viva che ha già fatto sapere di volere votare contro la relazione del ministro. Alla base dello slittamento ci sarebbero, stando a quanto riferiscono fonti parlamentari, degli impegni istituzionali del titolare del dicastero di via Arenula, ma bisognerà attendere la capogruppo di Palazzo Madama prevista per martedì per sapere quale sarà il calendario dei lavori. Si prova ad allungare la caccia ai voltagabbana.
Solo Bruno Tabacci raccoglie adesioni alla Camera. L'altro federatore dei costruttori, Clemente Mastella, tira il freno. E la moglie, la senatrice Sandra Lonardo, potrebbe non votare la relazione Bonafede. Il flop dell'operazione responsabili suggerisce a Conte di evitare il secondo scontro muscolare. Cominciando a valutare un'altra strada: le dimissioni, tra lunedì e martedì, nelle mani del Capo dello Stato Sergio Mattarella. A quel punto l'avvocato spera in reincarico per provare a formare il Conte ter: una trattativa lampo con i responsabili e un rimpasto di governo a 360 gradi. È lo scenario che si ipotizza nelle ultime ore a Palazzo Chigi. Con tutte le possibili variabili: in caso di dimissioni non è detto che Mattarella riaffidi a Conte l'incarico. Nel Pd cresce la spinta su Zingaretti a riaprire la partita con Italia Viva. Prefigurando l'opzione di una collaborazione tra le tutte forze politiche: «Se Giuseppe Conte salisse a dimettersi, a quel punto la palla passerebbe nelle mani del presidente della Repubblica verso il quale Forza Italia nutre il massimo di rispetto e di fiducia», chiarisce Antonio Tajani.
Il voto anticipato resta un'opzione per Conte. Ma c'è l'alt dei Cinque stelle: «Sì al voto.
Ma senza lista Conte. Il premier dovrà guidare il M5s», riferiscono fonti grilline. Una mossa per risalire nei consensi. Condizione che fa saltare i progetti bettiniani di sganciare l'avvocato dai Cinque stelle. Non c'è via d'uscita.
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