Il governo blinda il ministro Bonafede. È bastato uno squillo di telefono per mettere a tacere 24 di polemiche. Telefonata tra il premier, Giuseppe Conte, e il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, dopo le dure accuse nei confronti del Guardasigilli mosse dal magistrato Nino Di Matteo durante la trasmissione televisiva Non è l’arena di domenica sera. A quanto apprende l’Adnkronos, il presidente del Consiglio si è sentito in giornata con il ministro Bonafede per ribadirgli piena fiducia sul suo operato.
Conte, che già all’epoca dei fatti denunciati dal magistrato era presidente del Consiglio, ha ricordato al ministro di essere stato da lui informato dell’intenzione di coinvolgere Di Matteo in una posizione di rilievo. "Pensare che questa possibilità di collaborazione di Di Matteo con il ministero della Giustizia non si sia concretizzata per il presunto condizionamento subito dal ministro per effetto di affermazioni pronunciate da qualche boss mafioso è fuori dalla realtà", questa la difesa a spada tratta del premier.
"A dimostrarlo ci sono anche le concrete iniziative del ministro Bonafede nel campo della lotta alla mafia", rimarca inoltre il presidente del Consiglio, ribadendo la piena fiducia nei confronti di Bonafede. Interviene a suo sostegno anche un altro pezzo da novanta dei giallorossi. "Siamo entrati in parlamento con il chiaro intento di fermare il malaffare e debellare le mafie. Il nostro impegno è sempre stato massimo, in poco tempo abbiamo approvato leggi contro i mafiosi e inasprito le pene contro i corrotti. Il ministro della Giustizia Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Andiamo avanti orgogliosi della nostra storia e consapevoli di avere un'unica grande certezza: mai un passo indietro davanti ai mafiosi e ai corrotti. Mai", scrive su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Nette le parole a sostegno di Bonafede anche da parte di Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia e senatore M5s. "Arrivare a sostenere che l’azione di Bonafede sia stata inficiata da condizionamento, minacce e intimidazioni per cui avrebbe evitato la nomina di Di Matteo a capo del Dap mi pare un’inferenza illogica". Il senatore pentastellato poi continua: "Se Bonafede fosse stato condizionato, minacciato, intimorito avrebbe potuto chiamare qualcun altro e non Di Matteo invece lo ha chiamato, ma poi, presumo, c’è stato un problema di comunicazione per cui il posto al Dap è stato assegnato a un’altra persona".
Morra ha ricostruito quanto emerso nella trasmissione televisiva quando il magistrato Nino Di Matteo è intervenuto a Non è l'arena, programma di La7, condotto da Massimo Giletti, per raccontare un episodio del 2018, relativo alla nonima di Francesco Basentini come capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap). "Bonafede ha chiamato Di Matteo per offrirgli la possibilità di scegliere tra due incarichi, il primo essere a capo del mondo carcerario", oppure un altro incarico ossia la Direzione generale affari penali, ruolo in cui a inizio anni ‘90 fu chiamato a Roma, Giovanni Falcone.
Il pentastellato ha poi ricordato che erano state pubblicate alcuni giorni prima delle intercettazioni di boss appartenenti a cosa nostra in cui si diceva "se fanno Di Matteo capo Dap è finita" proprio perché si riconosceva lo straordinario spessore dell’uomo e del magistrato. "C’è stato un cortocircuito, un qui pro quo su cui bisognerà tornare.
Si dovranno chiarire il ministro Bonafede e Di Matteo: questo è il mio auspicio", sottolinea Morra. Tutta la giornata sono andate le polemiche su questa spinosa questione. Ora il governo ha scelto: pieno appoggio al Guardasigilli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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