Governo, Martina si dimette per dedicarsi solo al Pd

Lo ha annunciato lui stesso su Twitter. Ora si apre un periodo di prova

Governo, Martina si dimette per dedicarsi solo al Pd

Il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina si dimette per dedicarsi solamente al Pd. Lo ha annunciato lui stesso su Twitter. Per l'ormai ex ministro si apre infatti un periodo di prova, dominato da mille forze centrifughe.

Gli orlandiani, per esempio, chiedono più collegialità e autonomia rispetto al gruppo dirigente del passato. La prima verifica sarà la scelta dei capigruppo e degli eventuali nomi dei presidenti delle Camere. L'ala che fa capo al Guardasigilli vuole figure di garanzia. Altrimenti, è quanto trapela da ambienti vicini al ministro della Giustizia, "l'esperimento Martina sarà considerato fallito".

Nessun nome per adesso, ma un esempio di profilo non sgradito alla minoranza è quello di Luigi Zanda, già capogruppo al Senato. Lui, pur essendo vicino a Dario Franceschini, ha saputo garantire secondo gli orlandiani le ragioni di tutti all'interno del partito. Anche Lorenzo Guerini e Graziano Delrio sono considerati dei "renziani autonomi" con profili più moderati quindi accettabili.

Si tratta, però, sottolineano le stesse fonti Dem, soltanto di esempi perché la discussione è appena cominciata. Il criterio a cui auspicano gli orlandiani, soprattutto in virtù della collegialità appena professata in direzione, è l'alternanza tra presidenze e vicepresidenze dei gruppi fra le varie aree espressioni del Pd, "visto che si è superata la logica maggioranza-minoranza".

Insomma, "un duo Rosato-Marcucci sancirebbe il fallimento del mandato del segretario reggente", fanno sapere gli orlandiani.

Dalla maggioranza del partito, intanto, fanno sapere che i nomi dei capigruppo circolati in questi giorni sono più 'riflessioni dei giornalistì che altro. Non si è ancora parlato di persone specifiche, spiegano, ed è anzi probabile che si decideranno soltanto tra il 22 e il 23 marzo, prima dell'insediamento delle Camere. Tuttavia si sta ragionando. La convinzione tra i renziani è che la decisione dipenda più dai profili scelti più dalle aree di provenienza: quanto più la figura sarà "inclusiva", maggiori chance avrà di essere gradita da tutte le componenti Dem. Tenuto conto, in ogni caso, che il voto - nonostante la sconfitta - non ha azzerato i rapporti di forza all'interno della composizione di gruppi parlamentari.

Altro discorso invece è quello che riguarda le presidenze di Camera e Senato che il Pd vorrebbe slegato da quello di governo. La linea comune nel Partito è raggiungere un accordo fra tutte le forze politiche per trovare delle figure di garanzia. Il timore fra gli orlandiani, infatti, che qualcuno nel Pd possa cedere alle lusinghe di un accordo con il centrodestra (o, in seconda battuta, con la Lega) in cambio di una poltrona.

Su questo fronte, il reggente Martina esclude "categoricamente contatti tra Franceschini e i Cinquestelle", ventilati nei giorni scorsi a proposito della presidenza di un'aula. Rispetto alla querelle sul governo, dal ministro Graziano Delrio arrivano parole più morbide rispetto alla linea dura dettata da Matteo Renzi. "Se Mattarella ci chiedesse di fare il governo? Valuteremo. Il Presidente ha sempre la nostra attenzione e la nostra collaborazione". La sostanza, però, non cambia. Il punto fondamentale è che l'onere di fare il governo spetta ai vincitori. "Il Pd nel 2013 si prese la responsabilità di governare, vorrei sottolineare la differenza nei modi e nei toni", chiude il discorso Martina. I democratici puntano all'opposizione "responsabile". "Trovo irresponsabile e arrogante il discorso di Di Maio", dice Martina. "Evocare il ritorno al voto segnerebbe la sconfitta di chi ha vinto il 4 marzo.

Suggerirei a Di Maio di abbandonare questi messaggi e questi toni e di indicare piuttosto una prospettiva senza giocare a mosca cieca. Noi possiamo anche partire da un lavoro serio di controproposta, io ci sto, ma prima devono indicare cosa vogliono fare".

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