Il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, è stato definito, a suo tempo «il delfino di De Mita». Fu proprio quest'ultimo a cooptarlo nella Dc, ad assegnargli - giovanissimo - il ruolo di vicesegretario della potente Dc campana. E fu sempre De Mita a portarlo in parlamento nel 1976.
Quella definizione di «delfino» le dà fastidio?
«Al contrario. D'altronde lui impersonava la Balena bianca. E balena e delfino vanno d'amore e d'accordo».
Com'è nato il vostro sodalizio?
«Erano i primi anni Settanta. Con un gruppo di giovani cattolici leggevamo e commentavamo brani conciliari. Lo invitammo. Venne e da allora non ci siamo mai più persi di vista. Anzi. Fu più che convincente perché, anche se io gli dissi allora che la Dc conservatrice campana non mi interessava, riuscì a farmi cambiare idea».
Però la vostra storia politica si divise proprio alla nascita del Ppi.
«Sì. Io seguii Casini nella fondazione del Ccd».
Insomma quella dicotomia Dc-Pci si era trasferita nei due poli della seconda Repubblica.
«Abbiamo fatto allora scelte diverse. Però ammetto che De Mita è stato per tutta la vita un innovatore. E anche un innovatore della politica».
Com'era di carattere?
«Più schivo e timido di quanto apparisse. E quel suo modo di parlare e di rapportarsi agli altri era male interpretato».
Resta agli atti la fulminante definizione di Gianni Agnelli: politico della Magna Grecia.
«Le definizioni di Agnelli sono proverbiali. Quella però fu tra le meno riuscite. E i due comunque ebbero sempre rapporti cordiali. Quasi amichevoli».
Allora però furono in molti a pensare che De Mita rappresentasse il passato, con la sua retorica, i suoi sofismi.
«Ma quale passato! Era un grande innovatore. Ha letteralmente allevato la nuova classe dirigente. Quando diventò segretario della Dc cooptò personalità della società civile come Fabiano Fabiani, Romano Prodi, il costituzionalista Roberto Ruffilli, lo storico Gabriele De Rosa. Anche Giovanni Goria, il più giovane premier della nostra storia repubblicana, è stata una sua intuizione».
Però gli storici concordano che arrivare a Palazzo Chigi a metà degli anni Ottanta, mantenendo la carica di segretario della Dc sia stato un passo falso.
«Al contrario. Fu lungimirante, se ci pensa. Oggi - non solo in Italia - viene considerato naturale che il leader del partito di maggioranza diventi premier. Quel cosiddetto passo falso era soltanto l'invidia del cosiddetto Caf (Craxi, Andreotti, Forlani, ndr)».
In una delle sue ultime interviste televisive ha negato che Renzi possa essere considerato un suo «allievo».
«A parte il dato anagrafico, direi che hanno avuto entrambi una lucida visione delle cose politiche. Il leader di Italia viva però è troppo impulsivo e irrequieto laddove De Mita sapeva essere riflessivo e paziente».
Tanti sottolineano la sua natura di uomo politico assoluto partendo dal fatto che era ancora impegnato
come sindaco di Nusco.«In questo abbiamo percorso la stessa parabola. Si tratta di un'eredità sturziana. L'uomo politico deve essere al servizio della sua comunità. Sempre. È la sua vocazione ma anche il suo scopo».
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