Aveva forse immaginato diversamente il giorno della libertà, quello in cui avrebbe riconsegnato agli inglesi un Paese senza più restrizioni e vincoli anti Covid. Il primo ministro Boris Johnson si è trovato invece ad annunciare l'ennesima giravolta politica, l'introduzione dell'obbligo di passaporti vaccinali per chi vuole entrare in discoteca e partecipare a grandi eventi. Una dichiarazione che ha colto di sorpresa gli operatori economici e larga parte della maggioranza. Non foss'altro perché, ripetutamente, lo stesso Johnson e altri ministri hanno nelle ultime settimane escluso l'introduzione di una misura che non ha mai convinto l'ala più libertaria del partito che teme che possa essere estesa anche a ristoranti e pub. Sorprende inoltre la rapidità con cui il governo ha annunciato l'introduzione della misura, a meno di 24 ore dalla riapertura e dopo aver insistito per giorni sul tasto della responsabilità di cittadini e operatori economici come contromisura alla cancellazione di distanziamento sociale e obbligo di mascherine.
L'introduzione dei passaporti vaccinali è l'ultima manifestazione di una gestione sorprendentemente confusa dell'ultima fase del piano di riapertura che, invece di essere stata la ciliegia sulla torta del successo della campagna vaccinale, si è trasformata in un caos politico e comunicativo: via le restrizioni legali salvo poi chiedere alle persone di agire responsabilmente distanziandosi e coprendosi le vie respiratorie. Obbligo per un milione di persone di isolarsi in casa perché venuti a contatto con un infetto, salvo che per il primo ministro e il cancelliere dello scacchiere inseriti entrambi in uno schema pilota che sostituisce l'isolamento con tamponi quotidiani: polemiche e retromarcia per entrambi. Timori politici e, soprattutto, scientifici per una riapertura che coincide con un'impennata di casi (46 mila ieri con 96 morti, il dato più alto dal 24 marzo) che induce il governo a introdurre il green pass, a partire però da settembre: perché aspettare un mese e mezzo?
Chi non ha atteso è stato Dominic Cummings, l'ex braccio destro di Johnson che ieri sera ha rabbuiato ancor di più l'atmosfera a Downing Street con la sua prima intervista televisiva alla Bbc. Secondo Cummings, il primo ministro inglese lo scorso autunno si sarebbe opposto all'introduzione di misure contenitive del virus che avrebbero ucciso l'economia del Paese: «colpisce soprattutto gli ultra 80 enni, che prendano il virus e continuino a vivere a lungo». Un Johnson che, all'inizio della pandemia, non si sarebbe posto il problema degli incontri settimanali, di persona, con la regina Elisabetta e il rischio che comportavano. Un allocco che rinsavisce solo dopo le parole di Cummings: non puoi andare a vedere la regina. Cosa succederebbe se le trasmettessi il virus, se morisse? Non puoi correre questo rischio, sarebbe folle. Un primo ministro prono a una parte del partito conservatore e ai media, che avrebbe definito il Telegraph il giornale per cui ha scritto per molti anni come il suo vero capo.
Un Johnson che Cummings e altri esponenti della maggioranza erano pronti a defenestrare dopo la Brexit perché «non ha un piano, non sa come essere un primo ministro, è stato messo lì solo per risolvere un determinato problema (la Brexit), non perché fosse la persona giusta per guidare il Paese». Lo scorso autunno Cummings ha lasciato il suo ruolo. Johnson è ancora primo ministro.
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