È guerra per il dopo Cameron Parte l'operazione Stop-Boris

Comincia la battaglia per la successione alla guida dei Tory e del governo. Scatta la fronda anti-Johnson

È guerra per il dopo Cameron Parte l'operazione Stop-Boris

«Non so se ce la faremo a fermare l'ascesa di Boris Johnson a Downing Street ma molti di noi vogliono provarci». La frase pronunciata da un senior del Partito Conservatore, nel day-after della Brexit, è la prova che il risultato del referendum sulla Ue non solo non ha placato lo scontro tra gli inglesi, spaccati a metà quanto e più di prima, ma ha aperto ora un'altra guerra, quella per la leadership nel Partito Conservatore. Il giorno del trionfo per Boris Johnson rischia di trasformarsi in un boomerang per l'ex sindaco di Londra che ha capeggiato la sommossa anti-Europa. Contro di lui non ci sono solo i buu degli inglesi infuriati per il risultato del referendum. Molti nel partito non gli perdonano lo sgambetto fatto all'amico-premier David Cameron e soprattutto non lo considerano rappresentativo della larga fetta di Tory contraria alla Brexit. Così nel partito sono cominciate le manovre per fermare l'ascesa del favorito alla scalata per la leadership. E c'è da giurare che Cameron ci metterà del suo.

«Stop Boris» è il nome con cui è già stata ribattezza l'operazione, che trova seguaci anche tra i parlamentari conservatori favorevoli all'uscita dalla Ue. Sulla carta, almeno 129 deputati Tory su 330 sono con l'ex sindaco, ma molti altri sono convinti che non sia lui la figura giusta per traghettare il Paese e il partito verso una nuova fase e che il futuro leader non debba essere necessariamente pescato tra i pro-Brexit. «Quello di cui abbiamo bisogno è unità, stabilità, credibilità e competenza - dice senza esitazioni l'ex ministro Alan Duncan -. Non date per scontato che sia Boris il prediletto degli attivisti conservatori».

Chi potrebbe dunque contendere a Johnson la leadership in vista del voto dei 150mila membri del partito a settembre e della proclamazione finale al Congresso dei Tory di ottobre? Michael Gove, l'altro vincitore morale del voto pro-Brexit, ministro della Giustizia, ha già fatto sapere di non considerarsi adeguato al ruolo. Le quotazioni di George Osborne (anti-Brexit) sono crollate durante la campagna referendaria in cui il ministro delle Finanze ha minacciato una manovra pesantissima e tagli alle pensioni in caso di Brexit. Ma per la fine di luglio il partito deve trovare i nomi di almeno due contendenti. Così ecco spuntare - per nulla a sorpresa - la ministra degli Interni Theresa May.

Cinquantanove anni, in Parlamento da quasi venti, euroscettica che ha deciso tuttavia di stare defilata ma al fianco del primo ministro nella campagna per il Remain, è lei ora la rivale anti-Johnson preferita da molti conservatori. Da sette anni è gli Interni e ha raggiunto il record di ministro che ha guidato l'Home Office per più tempo negli ultimi cento anni. Ferma, competente e rappresentativa dell'élite conservatrice, la May potrebbe riunire il partito lacerato dopo il referendum. Sarebbe la perfetta erede della Thatcher. Il suo non è l'unico nome che si fa in queste ore (qualcuno chiama in causa anche il ministro dell'Energia Amber Rudd) ma è di certo quello più quotato. Con la ministra May la battaglia di Johnson si potrebbe fare davvero più complicata e il successo dell'ex sindaco trasformarsi in una vittoria di Pirro. Certo sarà dura contrastare il leader che ha trascinato il Paese fuori dalla Ue. Indiscrezioni dicono che starebbe già preparando una squadra di governo e che sarebbe pure pronto a indire nuove elezioni per garantirsi un mandato forte.

Sarà un'estate parecchio calda per la politica inglese. E non solo in casa Tory, dove il partito dovrà anche studiare un piano per garantire le promesse del referendum, a cominciare dal controllo dell'immigrazione. Anche tra i laburisti cresce il malcontento, alimentato dall'esito del referendum che riapre la contestazione contro Jeremy Corbyn. Accusato di una tiepidissima campagna pro-Ue, peraltro cominciata davvero in prima linea solo dopo l'omicidio della deputata Jo Cox, il leader del Labour è stato contestato ieri durante il Gay Pride di Londra. Un attivista lo ha additato sulla Brexit: «È colpa tua, Jeremy. Quand'è che ti dimetti?».

Lui ha replicato timido: «Ho fatto tutto quello che ho potuto». Intanto martedì il partito si pronuncerà con voto segreto sulla mozione di sfiducia di due deputati laburisti. E c'è chi sospetta che in quell'occasione potrebbero scattare le prime dimissioni del governo ombra.

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