L'analisi di Domenicali: "Guido piano, non ho l'auto. L'Ue sull'elettrico si butta via"

Il capo della Formula 1 Stefano Domenicali si racconta, dai parcheggi dei camion alla Ferrari: "I motori non moriranno mai"

L'analisi di Domenicali: "Guido piano, non ho l'auto. L'Ue sull'elettrico si butta via"

Stefano Domenicali, 59 anni, è il capo della Formula 1. È stato uno dei protagonisti della storia della Ferrari alla fine del secolo scorso e nei primi anni Duemila. Ha lavorato con successo per Audi e Lamborghini.

Era appassionato di auto già quando era bambino?

«Come tutti i ragazzi di Imola, cioè di una città che sorge intorno a una pista. Sono sempre stato innamorato di auto e di moto. Però non ho mai corso. Mi piaceva l'adrenalina che sentivo nell'aria».

Come è entrato nel mondo delle macchine?

«A 14 anni. Stavo al parcheggio dei camion e controllavo i pass per entrare. Poi, dopo l'università, ho mandato il curriculum a tante aziende della zona. Tre colloqui e mi hanno preso in Ferrari».

Ma a lei le macchine piacciono?

«Sì, certo».

Che macchina ha?

«Non ho una macchina mia».

Come?

«È così: non ho la macchina».

Ma sa guidare?

«Sì, mi piace guidare. Ma vado piano».

La sua macchina preferita?

«La vecchia Fiat 500».

L'automobilismo è uno sport o un'attività economica?

«Non è solo uno sport. La Formula 1 è diventata una piattaforma dove si crea business, si dà la possibilità ai grandi investitori di trarre profitto per le loro attività commerciali, si dà la possibilità ai veri tifosi di apprezzare tutto quello che facciamo in pista».

Cioè, le corse?

«Non solo: intrattenimento, concerti, eventi. Siamo trasversali. Non è più solo sport. Siamo attrattivi su molti piani. Siamo diventati più grandi. E io dico sempre ai miei collaboratori: dobbiamo diventare ancora più grandi».

Lei con il suo lavoro incontra molta gente?

«Certo, anche gente importante. Tutti i leader del mondo. Presidenti, re, regine. Con questo lavoro riesci a vedere quel che succede nel mondo molto da vicino. Noi creiamo relazioni internazionali. Siamo diventati un punto di incontro con grandi personaggi».

Avevate relazioni anche con la Russia?

«Avevamo rapporti eccezionali con la Russia. Ho dovuto comunicare io alla Russia la rottura, quando è iniziata la guerra. Io in Russia ero molto considerato. Tempo fa fui accolto al Cremlino come se fossi un capo di Stato».

Ha creato molti danni a voi questa guerra?

«Di business? Certamente sì. Ma noi sappiamo reagire e ricominciare a correre. Lo abbiamo fatto anche col Covid. E ora stiamo crescendo».

Lei è entrato in azienda pochi anni dopo la morte del fondatore, Enzo Ferrari. Com'era allora la Ferrari?

«Era un'azienda ancora sconvolta dalla perdita di Enzo. Si diceva sempre: Ah quando c'era lui.... Ogni anno cambiava il manager. Non c'era un punto di riferimento».

Il suo ingresso ha coinciso con la nomina di Luca di Montezemolo alla guida di Ferrari...

«Ha rappresentato la svolta. Quando è entrato lui le cose sono cambiate. Montezemolo ha dato un'impronta. La Ferrari da quel momento ha fatto la storia a livello di prodotto, di brand, di concezione del lusso, di risultati sportivi».

Le doti di Montezemolo?

«Competenza. Sia sul prodotto, sia sul fatto sportivo. Ha collocato l'azienda e il prodotto nel luogo nel quale doveva stare, nell'enclave del lusso. Lui era un leader che sapeva quali erano le persone giuste da mettere al posto giusto. Montezemolo ha vissuto la Ferrari con una passione totale».

Lei è appassionato di macchine o di corse?

«Di corse. Poi mi piacciono anche le macchine. Però è la corsa il cuore di tutto».

Cos'è una corsa?

«Adrenalina della sfida, della vittoria e della sconfitta, che già pensi alla corsa successiva. La corsa ti da l'idea del mai fermarsi. È la rappresentazione della vita: la corsa è fatta di persone, di squadra».

Quanto conta la macchina e quanto il pilota?

«Un grande pilota senza una macchina competitiva arriva secondo».

Il grande pilota che può fare?

«Quando due macchine sono vicine, la sua va avanti. Questo fa la differenza».

Le macchine sono oggetti freddi

«Macché! Sono emozione, sono vive, sono un insieme di persone».

Che doti aveva Schumacher?

«Per me lui è stato il massimo. Sapeva rallentare ogni singolo fotogramma della sua guida per massimizzare la prestazione. In ogni frammento della sua azione vedeva tutto».

Lei ha rilanciato la Lamborghini in crisi. Come ci è riuscito?

«Sono stato fortunato a trovare il momento giusto. Ho cambiato il segmento di mercato di quel brand. E poi sono riuscito a contrastare la spinta dei vertici della Volkswagen a far diventare elettrica la Lamborghini. Mi sono opposto e ho fatto bene. Su questo mi dico bravo».

Cosa pensa dell'auto elettrica?

«Non ho mai creduto al fatto che la politica possa fare le scelte tecniche. La politica deve dire: C'è un problema ambientale. I parametri di compatibilità sono questi e questi. Benissimo. Ma poi deve lasciare aperto il campo delle decisioni e delle invenzioni tecniche. Dire elettrico e basta è un errore. Non potrà mai sostituire interamente il motore tradizionale. Anche perché ci sono i grandi mezzi di trasporto, come gli aerei e le navi, che non possono essere elettrici».

Quindi una scelta sbagliata?

«Sì. E per fortuna si sta tornando indietro».

Trump ha dato un taglio all'elettrico

«È un pragmatico. Ha fatto una scelta di campo mettendo avanti gli interessi del suo Paese. Il mercato americano è molto lontano dall'elettrico».

L'elettrico ha già messo in crisi l'industria automobilistica?

«Sì. Siamo stati messi in ginocchio da noi stessi. La scelta politica è stata quella di buttare a mare i valori tecnologici che avevamo creato. Il problema è che quello che abbiamo perso non lo recuperiamo più. Abbiamo perso mercato e sviluppo. Un errore clamoroso della politica europea».

I dazi saranno una mazzata?

«Dal punto di vista della catena del valore chi paga le conseguenze dei dazi è il consumatore. Però non puoi risolvere il problema con sovvenzioni per vendere le macchine. Le sovvenzioni sono droga. Danneggiano il mercato».

Tra qualche anno, probabilmente, con l'intelligenza artificiale, noi non guideremo più le automobili. L'automobilismo sopravviverà?

«Sopravviverà al 100%. Lo sport è fatto di persone. L'intelligenza artificiale aiuta ma le persone restano al centro».

È vero che da ragazzino aveva come compagno di classe un futuro cardinale?

«Il cardinale Gambetti. Ingegnere. Persona stupenda. Ci vediamo sempre, ogni anno, nel weekend di Imola, con tutti i compagni del liceo».

Chi vincerà il mondiale quest'anno?

«Non posso espormi».

Poi aggiunge sottovoce: «Se vincesse la Ferrari sarei felice».

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