Prima il coronavirus, poi il futuro di Taiwan, ora le strade in rivolta di Hong Kong, dove si sono sfiorati i duecento arresti e la polizia ha usato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere le proteste nell'ex colonia britannica. Si aggiunge un'altra miccia allo scontro fra Stati Uniti e Cina. E anche Pechino, alla fine, ammette: «Una nuova Guerra Fredda è sull'orlo di esplodere», spinta «da alcune forze politiche statunitensi». Cominciata sul commercio due anni fa, proseguita sui silenzi e le omissioni all'origine della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo, in queste ore la guerra si combatte a Hong Kong sui valori fondanti delle due superpotenze: il controllo capillare del territorio e dei suoi satelliti, oltre che dei cittadini, nel nome dell'integrità nazionale da parte cinese, la difesa dei valori democratici e delle libertà individuali da parte statunitense.
Oggetto del contendere è la legge sulla sicurezza nazionale che Pechino vuole sia votata, a tutti i costi e «senza il minimo ritardo» entro giovedì 28, quando si concluderanno i lavori del Congresso nazionale del Popolo. La nuova norma permetterà al governo cinese di «prevenire, fermare e punire» ogni possibile atto di secessione, eversione contro lo Stato, terrorismo e interferenze straniere e sarà introdotta nella Basic Law, la mini Costituzione locale. Di fatto, secondo il leader delle rivolte Joshua Wong e i giovani in piazza, è «un ultimo chiodo sulla bara dell'autonomia di Hong Kong» che fin qui, da quando nel '97 è passata dai britannici in mano alla Cina, ha tenuto uno status speciale, un sistema legale e giudiziario separato dalla madrepatria, in base al principio «un Paese, due sistemi». Perciò i manifestanti che invadono le strade di Hong Kong invocano la «rivoluzione». Per questo il segretario di Stato americano Mike Pompeo parla di «campana che suona a morto» per l'autonomia di Hong Kong e mentre Donald Trump continua ad attaccare Pechino sul coronavirus - «la Cina non ha saputo o voluto fermarlo» - il candidato democratico Joe Biden, pronto a sfidarlo per Usa 2020, ricorda a Pechino che la normativa è una «terribile violazione non solo di un accordo ma dei diritti umani».
La speranza è che la Cina decida di fermare il provvedimento, come avvenne sull'emendamento alla legge sull'estradizione, ritirato meno di un anno fa dopo le durissime proteste di piazza. Ma il clima internazionale non aiuta. Mentre a Hong Kong la polizia si scatena con arresti e gas lacrimogeni, pronta a fare il bis oggi, in occasione di nuove proteste, il Senato americano accelera l'iter di un disegno di legge bipartisan che punta a sanzionare funzionari e istituzioni cinesi, se applicheranno la norma.
E da Pechino arriva un nuovo affondo ai rivali: «Un virus politico si sta diffondendo negli Stati Uniti - dice il ministro degli Esteri Wang Yi, mentre dal laboratorio di Wuhan negano categoricamente che il virus sia uscito da lì - Gli Usa ignorano i fatti più basilari per diffondere menzogne e creare teorie cospirative contro di noi».
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