Quella sui referendum è un’altra bandiera ammainata dal Movimento 5 Stelle. Il pronunciamento della Corte costituzionale, sui quesiti sottoposti nei mesi scorsi, ha fatto molto rumore. Oscurando però una delle grandi promesse non mantenute dai pentastellati: quella di facilitare il ricorso ai referendum. Tanto da rimettere mano alla Costituzione, introducendo la possibilità di indire referendum propositivi e abbassando il numero di firme per proporli al vaglio della Consulta, da 500mila a 200mila. Secondo questa potenziale novità, i cittadini avrebbero potuto avanzare delle iniziative su cui esprimersi. Agli atti resta poi l’idea di intervenire sul quorum, il famoso 50%+1 di partecipanti per rendere efficace la consultazione. L’impegno, assunto fin dalla campagna elettorale, era davvero ambizioso: si puntava a riscrivere gli articoli della Carta per potenziare gli strumenti di democrazia diretta.
Il "giorno storico" del 2019
Una parte fondamentale di quel progetto è rintracciabile nel vecchio contratto di governo che il Movimento firmò con la Lega, prima di far nascere il governo gialloverde, guidato da Giuseppe Conte. E del resto in Parlamento c’è stato anche un passaggio, con l’approvazione alla Camera in prima lettura, nel 2019, della riforma. Il testo è stato spedito al Senato. E lì è rimasto, fermo. E dire che Riccardo Fraccaro, all’epoca ministro dei Rapporti con il Parlamento e grande sponsor delle riforme, parlava di “un giorno storico per la nostra democrazia”. “Questa riforma - insisteva l’esponente del M5S - consentirà al popolo di partecipare direttamente alla formazione delle leggi e al tempo stesso riaffermerà la centralità del Parlamento”. Parole che non trovavano d’accordo il Partito democratico, che si oppose. Da allora le cose sono cambiate, eccome. E i parlamentari grillini hanno dimenticato l’impegno preso davanti ai loro elettori. Uno dei pochi a farsi a sentire è stato il presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera, Giuseppe Brescia. Ha chiesto, nei mesi scorsi, “un passo in avanti” su questa battaglia. Ma dietro di lui non c’era nessuna truppa.
Il contratto sul referendum
Ma per capire la questione, è opportuno ricordare cosa aveva pensato il Movimento, inserendo degli appositi “commi” nel contratto con la Lega: “È fondamentale potenziare un imprescindibile istituto di democrazia diretta già previsto dal nostro ordinamento costituzionale: il referendum abrogativo”. E ancora: “per incentivare forme di partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale occorre cancellare il quorum strutturale - ovvero la necessità della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto - al fine di rendere efficace e cogente l'istituto referendario”. Insomma, un intervento deciso sulla questione del quorum. L’iniziativa prevedeva che ci fosse almeno il 25% del corpo elettorale si esprimesse in maniera favorevole, circa 12 milioni e mezzo di elettori italiani (partendo dalla base di 50 milioni di elettori attivi).
Non solo. C’era un’altra proposta. “Sempre allo scopo di incentivare la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese sosteniamo l’introduzione del referendum propositivo, ossia un mezzo volto a trasformare in legge proposte avanzate dai cittadini e votate dagli stessi”. Un’evoluzione delle proposte di legge di iniziativa popolare, che oggi vengono depositate in Parlamento senza incontrare molta fortuna. Insomma, sul tavolo c’erano delle idee, anche ben avviate nelle Istituzioni. Ma sono ormai altri tempi.
E del resto sembra un’era geologica fa, quando il fondatore Beppe Grillo lanciava l’iniziativa di un referendum consultivo per la permanenza dell’Italia nell’euro. Quei furori della prima ora sono dimenticati, adesso il M5S ha indossato i panni dell’europeismo. Una delle tante operazioni camaleontiche pentastellate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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