![I boss si scoprono deboli: "Cosa Nostra è decadente. Meglio fuggire dall'Italia"](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2024/02/12/1707721935-de-sun-pm4yhq6szmk-unsplash.jpg?_=1707721935)
Una mafia «povera», che non ha neanche i soldi per gli affiliati in cella («Qua i picciuli ci vogliono...»), con picciotti poco affidabili che si pentono subito e i boss a caccia di gente brava a cui insegnare i rudimenti di mafia. Dalle intercettazioni dell'inchiesta della Dda di Palermo la mafia siciliana ne esce con le ossa rotte: esercita il suo fascino ma fa fatica ad assoldare manovalanza affidabile: «Il livello è basso. Oggi arrestano a uno e si fa pentito, arrestano un altro... livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando?», si sfoga un affiliato di Cosa Nostra intercettato dai magistrati. «C'è un picciotto bravo», risponde a distanza un altro capomafia, contento perché a differenza di altri entra ed esce di galera e non fa una piega perché la mafia c'è l'ha nel sangue: «La prima volta arristaru poi nisciu (l'hanno arrestato ed è uscito, ndr), a secunna vuota arristaru e nisciu... e pensava che c'è un futuro... pirchì... ce l'ha nel sangue lui questa vita diciamo... capiscimi quello che ti voglio dire...e ti sto dicendo che è serio ...Pi mia è ottimo diciamo... di quello che c'è stato ... e speriamo per un futuro».
Di picciotti millennial un po' presuntuosi che non vogliono imparare né studiare, né «farsi il cervello tanto» ce n'erano in giro troppi («Posa sto telefono che ti insegno come si fa» a raccogliere il pizzo), ragazzetti che parlano troppo («Fai parlare a lui e non rispondere a nuddu», a nessuno) e che non stanno attenti ai dettagli («Sempre occhi alla via, cammina dietro di me»), chiacchiere consegnate agli inquirenti da boss fin troppo sicuri di parlare grazie a criptofonini considerati a torto impenetrabili, altra ingenuità costata carissimo.
Il reclutamento della manovalanza sbagliata crea problemi quando le cose vanno male. «Cosa Nostra stenta ad intraprendere perfino le iniziative bastevoli ad assicurare il soddisfacimento degli essenziali bisogni finanziari del sodalizio», scrivono i pm della Dda di Palermo. «Devo dare mille euro a Giulio, mille euro a mio cugino Calogero, mille euro a suo padre, mille euro a suo fratello e mille euro a mia cugina Rosalia che è con gli arresti domiciliari là sopra», si lamenta un capomafia. Con un altro che si infuria per il costo di un boss in disgrazia e dice al telefono: «Ma questo non è che... gli pare che c'è... la banca? Non è impiegato all'Inps».
Ecco perché i boss sottolineano l'importanza di evitare «la decadenza dell'associazione» con «un'adeguata formazione culturale delle nuove leve», capaci di influenzare il potere come faceva Micheal Corleone nel film Il Padrino. L'alternativa è di «fuggire dall'Italia» e dalla battaglia asfissiante delle forze dell'ordine sulle attività criminali. Il business della droga - diventato prima fonte di reddito - è in mano a 'ndrangheta, albanesi e narcos sudamericani, la mafia non tocca palla: «Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi, tutta Palermo (...). Noi pensiamo che facciamo il business, oggi lo fanno altri... noi siamo gli zingari», dice ancora il boss. Una volta era diverso. «Non c'è più ddu cuosu ri trent'anni fa...
se l'hannu fattu tre volte e tre volte al nascere della Cosa hanno arrestato a tutti... trent'anni fa si faceva e non si sapeva niente... ora invece sappiamo tutte cose». Cosa Nostra riusciva a rinascere dalle sue ceneri. Oggi forse non più.
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