Quando il ministro Madia sostiene che, grazie alla legge che porta il suo nome, già «200 furbetti del cartellino sono stati licenziati», dice un'inesattezza. Ieri - esattamente come oggi (e pure domani) - il licenziamento «definitivo» di un lavoratore può essere ratificato solo dal tribunale con sentenza destinata al vaglio dei tre gradi di giudizio. Tutto il resto sono chiacchiere, o semplici slogan. Ciò che invece la nuova normativa-Madia consente (teoricamente), con procedure più snelle, è la sospensione dal servizio del dipendente «infedele». Ripetiamo: sospensione, e non licenziamento. La differenza non è da poco. Per fare un esempio: la sospensione sta al licenziamento, come lo svenimento sta alla morte. E, di furbetti del cartellino «morti», se ne contano sulla dita di una mano. Per la maggior parte dei casi, invece, si tratta solo di semplici «svenuti» che la Cassazione tende a «rianimare» restituendogli onore, stipendi «indebitamente trattenuti» e, in alcune particolari circostanze, perfino riconoscendo loro i «danni morali e materiali».
È accaduto, nell'ultimo quinquennio, con un medico di una Asl di Roma; un ingegnere della motorizzazione civile di Napoli; un dipendente delle Ferrovie dello Stato di Bari; un funzionario del Genio Civile di Firenze e in decine di altri contenziosi che opponevano su fronti opposti le aziende (pubbliche o private, non fa differenza) e i presunti furbetti nella loro ampia gamma tipologica (dagli assenteisti ai pluritimbratori di badge; dai malati immaginari ai falsificatori di note spese; dai violenti ai molestatori sessuali; dagli scansafatiche cronici ai ladri di materiale di cancelleria dell'ufficio). Per questi atti illegittimi la Suprema Corte ha tracciato, tramite pronunciamenti univoci e concordi, una giurisprudenza da ritenersi ormai consolidata. E cioè: «Il lavoro è bene primario che va tutelato in via prioritaria (...) una condotta infedele che abbia i caratteri della sporadicità non giustifica misure gravi e drastiche come quella del licenziamento».
Tradotto dal giuridichese: se un dipendente imbroglia o fa il bullo in maniera «non continuativa», può - anzi, deve - rimanere al suo posto. Gli ermellini si mostrano possibilisti rispetto a sanzioni disciplinari come «lettera di richiamo», «censura», «ammonizione» e non escludono neppure «trasferimenti» e «cambi di mansioni»; ma il licenziamento, no: per essere sbattuto fuori, devi almeno uccidere il capufficio. Non si tratta di un paradosso, ma della realtà. Negli ultimi anni la Cassazione ha infatti confermato sentenze di licenziamento solo in casi di reati gravissimi commessi «continuativamente» sul luogo di lavoro. Se al contrario i «contesti di infedeltà» sono «limitati» a pratiche di «episodico e occasionale» assenteismo o «illegale timbratura del cartellino», il rischio-licenziamento è praticamente nullo. In alcuni processi la Cassazione non ha mancato di stigmatizzare lo «squilibrato divario proporzionale» tra la sospensione dal servizio disposta dall'azienda e «l'oggettiva colpa del lavoratore sanzionato».
Il quale - recita la Suprema corte - «per essere afflitto da una sanzione tanto estrema avrebbe dovuto andare ben oltre i comportamenti effettivamente addebitatigli».Intanto a Sanremo il vigile sorpreso a timbrare in slip, ha presentato ricorso contro la sospensione. Ha ottime possibilità che il ricorso venga accolto...
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