Per i locali un'ecatombe. La bufala dei miniredditi per evitare i risarcimenti

Sui media filo-governo analisi false. Non sanno come funziona il fisco d'impresa

Per i locali un'ecatombe. La bufala dei miniredditi per evitare i risarcimenti

Sui social è come un'onda. Ripetono tutti la stessa frase, come se fosse un pensiero proprio: «Le discoteche lamentano 4 miliardi di perdite ma dichiarano meno di 18mila euro l'anno. Lo Stato dia loro aiuti in base alle dichiarazioni dei redditi». Circola anche una variante che parla di 4.600 euro di reddito. La tesi a effetto si basa su un falso costruito per colpire l'industria del divertimento che in questi giorni è il nemico ideale.

La frase rivela la totale ignoranza di come funzioni il reddito d'impresa ma è talmente accattivante da trovare eco anche nella stampa e in webstar come Lorenzo Tosa che vanta il titolo di «secondo giornalista più seguito sui social». Tosa è un ex 5 Stelle riciclato come fabbricante di luoghi comuni di grande successo sul web. A sua discolpa va detto che riportando la frase sulle discoteche cita come fonte un tal «Coriolano Pallacci» e non tenta nemmeno di approfondire il concetto, limitandosi a commentare con un «nulla da aggiungere».

Fa peggio l'autore di un articolo sul Fatto quotidiano, Alessandro Robecchi, che ripete a pappardella la stessa tesi lanciandosi in un'invettiva contro la scarsa trasparenza fiscale dei proprietari di discoteche, ragionando, si fa per dire, che se fosse vero il dato dei 18.000 euro l'anno, avrebbero «redditi da caritas». Robecchi sollecitato sul web a rivelare la fonte delle cifre che riporta si limita a invitare a cercare su Google le parole chiave «discoteche dichiarazioni dei redditi». Con quei termini il primo risultato è un articolo di Repubblica dal titolo «Discoteche e gioiellieri, redditi da fame: dichiarazioni medie sotto i 18 mila euro». Sembrerebbe questa dunque la fonte di Robecchi. Che però a quanto pare si è limitato a leggere il titolo. L'articolo infatti riporta dati del 2013 e sebbene il titolo accomuni gioiellieri e discoteche, leggendo si apprende che queste ultime dichiarano molto meno: in realtà in quell'anno sono andate in rosso. Del resto, visto che l'analisi di Robecchi si basa evidentemente su una totale ignoranza del sistema fiscale, perché disturbarsi a leggere tutto l'articolo? L'altra fonte del chiacchiericcio web, che perlomeno è più recente, è un articolo del 2017 che riporta gli studi di settore dell'Agenzia delle entrate che indicano per i locali da ballo redditi per 4.600 euro annui.

Le imprese però dichiarano solo gli utili, non tutti i ricavi. Chi va in utile dunque, ha già coperto tutte le spese di esercizio, pagando gli stipendi di decine di collaboratori e fornitori e anche gli stipendi degli amministratori (se sono Srl) che, nel caso delle discoteche, spesso sono i titolari. Stipendi che saranno a loro volta tassati. Dunque la dichiarazione del reddito d'impresa non c'entra con il fatturato e quindi non può dare la misura delle maxi perdite derivanti dalla chiusura.

La verità è che il governo, anziché costruire un sistema di tracciamento che ci consenta di convivere con un livello di contagi peraltro per ora piuttosto basso, ha prima aperto le discoteche e poi le ha indicate come

obiettivo da colpevolizzare. Il danno è enorme per un Paese che ambisce a vivere di turismo, ma poi è pronto a penalizzarlo se è politicamente utile. Con l'aiuto di disinformati cantori che raccontano favole per fessi del web.

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