I metodi violenti dei poliziotti in Usa non creano indignazione. Da noi gettano fango

I metodi violenti dei poliziotti in Usa non creano indignazione. Da noi gettano fango

«Questo tizio ha pugnalato più volte un poliziotto e lo ha ucciso. E il (Washington) Post si preoccupa perché è stato bendato per un po' di tempo?». Il commento di tale Franck Dudley Berry Jr. in calce al pezzo in cui il quotidiano americano descrive la foto del 18enne Christian Hjorth, complice di Finnegan Lee Elder, l'assassino materiale del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, riassume lo spirito con cui tanti lettori statunitensi hanno accolto l'immagine di quel criminale ammanettato e bendato dopo la cattura. Uno spirito ben diverso da quello trasmessoci da tanta nostra stampa pronta a far le pulci ai servitori dello Stato anche quando riposano sul marmo dell'obitorio.

Per l'America legalista e rispettosa del lavoro dei poliziotti, l'immagine di quel delinquente bendato non comporta né turbamento, né scandalo. Semmai la turba constatare che un proprio concittadino s'è trasformato in un teppista assassino meritevole della pena di morte in base alle leggi della maggior parte degli stati americani. Del resto, anche volendo far polemica, gli americani non hanno grandi esempi da offrire. Per capirlo partiamo da un episodio analogo del luglio 2012. In quei giorni l'afro americano Milton Hall si presenta in strada nella cittadina di Saginaw nel Michigan minacciando con un coltello alcuni poliziotti. Per tutta risposta questi - come racconta in un servizio dell'epoca la Cnn - estraggono le pistole e lo impallinano 46 volte in meno di cinque secondi. In Italia invece Luigi Preiti, il mentecatto che il 28 aprile 2013 sparò, riducendo in sedia a rotelle il brigadiere Giuseppe Giangrande in servizio a Palazzo Chigi durante il giuramento del governo Letta, è ancora vivo perché catturato senza sparare un colpo dagli altri carabinieri.

Paragoni a parte i cittadini statunitensi sono abituati a tutt'altri metodi. Per capirlo basta il rapporto di «Amnesty International» intitolato «Una forza mortale, la violenza della polizia negli Usa». Stando al rapporto «Tutti i 50 Stati e il distretto di Columbia non rispettano gli standard internazionali sull'uso di forza letale da parte della polizia». Un'affermazione che trova conferma nelle statistiche di «Mapping Police Violence», il sito che tiene conto delle persone, colpevoli o meno, cadute sotto i colpi dei poliziotti americani. Stando a quel sito, le vittime degli interventi di polizia sono state 1149 nel 2014, 1307 nel 2015, 1152 nel 2016, 1147 nel 2017 e 1164 nel 2018. Numeri analoghi a quelli di una guerra, se pensiamo che Washington ha lasciato 4442 morti in Irak e quasi 2400 in Afghanistan. Ma ancora più inquietanti, se paragonati agli standard italiani e alla presunta «indignazione» americana registrata dai nostri media, sono le circostanze di quelle morti e le reazioni delle autorità. Un'indagine del Dipartimento di Giustizia americano rivela che «per il 52% dei funzionari di polizia non è infrequente chiudere un occhio su condotte improprie». E per la stessa fonte «il 43 per cento degli agenti concorda con l'idea che seguire le regole non sia compatibile con la necessità di portare a termine il proprio lavoro». Sempre per il Dipartimento di Giustizia, «l'84 per cento dei poliziotti è stato testimone diretto dell'utilizzo di violenza spropositata da parte di un collega». Dati ancor più inquietanti se s'analizza il colore della pelle delle vittime. Stando al quotidiano inglese The Guardian nell'America garantista, tanto cara ai giornalisti italiani prontissimi a biasimare i carabinieri, gli afro americani, e le persone di pelle scura, corrono un rischio doppio rispetto ai bianchi di venir uccisi dalla polizia anche se disarmati.

Insomma, persino nella tragedia di un coraggioso servitore dello Stato e nell'obbrobriosa vicenda di due teppistelli arrivati ad uccidere in un'Italia scambiata per il paese dei balocchi, la stampa più allineata ai luoghi comuni della sinistra ha fatto di tutto per gettare fango sulla condotta, in larga parte esemplare, delle nostre forze dell'ordine. Perché se il disfattismo è la virtù nazionale, i giornalisti di sinistra e i loro partiti di riferimento ne sono i veri campioni.

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