Rimpatri, rimpatri, rimpatri. Da un mese e passa la parola d'ordine rimbalza da Bruxelles a Roma. La indicava come priorità il Consiglio Europeo riunitosi a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. La fa propria il decreto messo a punto in quel di Cutro dal nostro governo promettendo l'apertura di un Cpr (Centro di Permanenza per i Rimpatri) in ogni regione, a fronte dei dieci esistenti, e l' allungamento da tre a sei mesi dei tempi di detenzione. Ma tra il dire ed il fare c'è di mezzo proprio il mare. Un mare che dal primo gennaio ha spinto sulle nostre coste oltre 27mila migranti ovvero oltre quattro volte quelli arrivati nel 2021 e nel 2022. Uno tsunami che l'esile diga dei rimpatri non basta certo a contenere nonostante l'appoggio promesso dall'Unione Europea. L'impegno a rimandare a casa agli irregolari sconta non solo la scarsità di accordi con i paesi d'origine, ma anche le lentezze burocratiche e le carenze legislative. E nel caso del decreto Cutro i tempi necessari ad allestire i nuovi Cpr. I dati del resto evidenziano l'inefficienza cronica, e non solo italiana, dei processi di rimpatrio. Stando alla Corte dei Conti tra il 2018 e il 2021 le persone tornate al paese d'origine sono state appena 21mila366 a fronte di ben 107mila 368 provvedimenti di espulsione. Dati confermati dalla Fondazione Leone Moressa che mette a confronto la stima di 519mila irregolari presenti in Italia nel 2021 con gli appena 44mila rimpatri andati a buon fine tra il 2013 e il 2021. Il tutto a fronte di 230 mila ordini di rimpatrio. Come dire che quattro irregolari su cinque riescono sempre a farla franca. E anche la cifra senza precedenti di oltre 8mila rimpatri raggiunta tra il primo gennaio e il 30 settembre 2022 impallidisce a fronte degli oltre 100mila sbarchi registrati alla fine dell'anno.
Ma non è un problema esclusivamente italiano. Prendiamo il 2018. In quell'anno i rimpatri dall'Italia sono stati 6mila398, a fronte di 7mila348 dalla Francia, 11mila713 dalla Spagna e 26mila114 dalla Germania. Cifre migliori delle nostre, ma comunque inadatte a compensare l'eccesso di irregolari.
Un altro problema non irrilevante di questo provvedimento è il suo costo. Le cifre spese dall'Italia per le operazioni di rimpatrio forzato si attestano mediamente intorno ai 9 milioni di euro annui. Nel 2020 sono stati impiegati 8,3 milioni di euro, una cifra di poco inferiore agli 8,9 milioni nel 2019 e i 10,1 milioni nel 2018. Costi solo in parte compensati dal Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami), il fondo europeo che per il periodo 2014- 2020 prevedeva 400 milioni di euro destinati a coprire tutte le spese del fenomeno migratorio da asilo e integrazione fino ai costi di rimpatrio.
Senza dimenticare che gli accordi stretti nel 2020 con la Tunisia hanno richiesto per esser firmati l'esborso preventivo di 11 milioni di euro di aiuti. Una cifra ormai largamente ingiustificata visto che gli accordi, pur funzionando, non bastano certo a smaltire l'esodo in atto da quelle coste.
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