Chelsea Manning non è una donna. Basta scrutare braccia e gambe per osservare l'androgino che è in lei. A differenza della modella Lea T., altro campione transgender con un passato da Leandro, Chelsea Manning non è neanche bella. Né appare come un modello al quale ispirarsi dacché l'ex analista dell'intelligence statunitense è stata condannata a 35 anni di carcere per aver trasmesso a Wikileaks migliaia di documenti classificati e sensibili per la sicurezza degli Stati Uniti (e dei suoi soldati e diplomatici sparsi in giro per il mondo). Manning ha tradito la patria, ha violato i propri doveri d'ufficio, ha infranto la legge e sarebbe ancora in carcere se Obama non l'avesse graziata. Adesso la rivista patinata Vogue, santuario femminile per eccellenza, la rivista, per intenderci, sulla quale Carrie di Sex and the City posa in abito nuziale prima di essere mollata sull'altare dall'eterno indeciso Mr. Big, la rivista celebrata da Madonna con una canzone cult che agli inizi degli anni Novanta lanciò la moda del vogueing (il ballo che imita le pose plastiche delle modelle), l'intramontabile Vogue pubblica in copertina Chelsea Manning con indosso un costume intero rosso.
«Credo che questo sia l'aspetto della libertà», cinguetta lei su Twitter anticipando lo scatto di Annie Leibovitz. A ben vedere, già lo scorso marzo l'edizione francese del magazine ha dedicato la copertina a Valentina Sampaio, modella trans brasiliana, per testimoniare l'«importanza dei diritti umani». Non sappiamo se Manning abbia davvero «cambiato il corso della storia», come afferma enfaticamente il titolo dell'intervista, riscontriamo però un singolare paradosso: nell'era della femminizzazione del maschio, se nelle Asturie le bagnine sono costrette a indossare morigerati pantaloncini per celare le curve che desterebbero scandalo negli occhi di chi guarda, la grancassa mediatica appare tutta impegnata nell'opera di normalizzazione di ciò che normale non è. Nessuno mette in questione le preferenze sessuali, tutte legittime, chi scrive è da sempre fautrice delle libertà gay, lesbo, bisex, queer... l'amore non ammette il limite. Il discorso è più complesso, riguarda il pervicace tentativo di affermare l'esistenza di un fantomatico terzo sesso che non esiste. Si nasce e si muore maschio o femmina, nel mentre ognuno può operare le transizioni che vuole, da una sponda all'altra, ma l'origine la detta la natura che con le sue regole e i suoi codici ancestrali non può essere annullata.
Da tempo la femminista eretica Camille Paglia, dichiaratamente lesbica, mette in guardia dai rischi della Gender revolution che, a suo giudizio, «mina la capacità delle società occidentali di comprendere o reagire. I fenomeni trangender si moltiplicano e si diffondono in fasi tardive della cultura. Nulla definisce meglio la decadenza dell'occidente del transessualismo». L'ideologia contemporanea impone l'indistinto asessuale, maschi e femmine non esistono più, naufraghiamo in un limbo di indifferenziazione in cui i generi si mescolano per neutralizzarsi reciprocamente. È la morte della civiltà. In Spagna le bagnine devono coprirsi le cosce, sono troppo erotiche; alle bambine è consentito giocare con le bambole purché siano adeguatamente edotte circa l'alternativa dei soldatini pronti all'uso; su Vanity Fair Caitlyn Jenner, Bruce nella precedente vita nonché patrigno di Kim Kardashian, dispensa consigli per stare sui tacchi e truccarsi alla perfezione; Vogue esalta una gola profonda che ha scoperchiato una montagna di segreti di Stato: è trans, e tanto basta.
Qualcuno osa rievocare l'edizione Vogue del 1988 con la prima modella nera in copertina, una giovanissima Naomi Campbell. La moda portabandiera dei diritti, d'accordo, ma il paragone resta azzardato: la Venera nera è donna, Manning non lo sarà mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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