Immigrati, la Merkel insiste (e rischia tutto alle elezioni)

La cancelliera condanna l'attacco e conferma l'accoglienza. "Ma sarebbe insopportabile se il colpevole fosse un profugo"

Immigrati, la Merkel insiste (e rischia tutto alle elezioni)

Si è presentata vestita di nero, con una voce che a tratti sembrava tremare. Il turbamento di Angela Merkel ieri era evidente: in mattinata nella prima dichiarazione pubblica nella sede della Cancelleria, nel pomeriggio sul luogo della strage, dove ha deposto un mazzo di fiori. Una reazione commossa ma da cui traspariva anche la volontà di non lasciarsi travolgere dagli eventi. «Non dobbiamo farci paralizzare dalla paura del male... Il nostro Paese resterà unito, libero e aperto. Sarebbe insopportabile se fosse confermato che l'attacco è stato condotto da una persona che aveva chiesto asilo in Germania», ha scandito. «Sarebbe ripugnante per tutti quei tedeschi che si impegnano ogni giorno per aiutare i rifugiati e per tutte le persone che hanno bisogno del nostro aiuto e si sforzano di integrarsi nel nostro Paese».

La linea del governo non cambia, era il messaggio, non ho intenzione di militarizzare la Germania. E almeno all'apparenza l'establishment tedesco è con lei. I commentatori dei grandi giornali di centro-destra ieri hanno deplorato senza eccezioni il tweet dell'esponente di Alternative füer Deutschland Marcus Pretzell: «Quando reagirà lo Stato? Questi sono i morti della Merkel», o l'hashtag lanciato sempre su Twitter dall'Afd: «Terrokanzlerin», la cancelliera del terrore.

È sicuro però che le dichiarazioni di ieri della Merkel sono una sfida lanciata alla pancia del tedesco medio. E gli eventi di Berlino riducono ulteriormente il suo spazio di manovra. La leader più longeva d'Europa vanta ancora (o vantava fino all'altro giorno) livelli di popolarità invidiabili. Secondo la periodica rilevazione del settimanale Der Spiegel, pubblicata solo sabato scorso, è l'esponente politico più apprezzato di Germania, con un gradimento del 66%, subito dopo Frank-Walter Steinmeier, ministro degli Esteri socialdemocratico già scelto come candidato unitario per la prossima elezione a presidente della Repubblica, che raggiunge il 73%. Anche al Congresso della Cdu di inizio dicembre le adesioni alla sua piattaforma non hanno raggiunto i livelli bulgari della precedente tornata (96%), ma hanno superato un 85% che in altri Paesi sarebbe considerato plebiscitario.

E tuttavia anche per l'onnipotente Angela il filo si fa sempre più sottile.

A ricordarlo ieri alla cancelliera sono stati il capogruppo dei popolari al Parlamento europeo Manfred Weber e il leader della Csu, il partito fratello bavarese, Horst Seehofer: entrambi hanno chiesto un cambiamento della politica dei rifugiati. Il dato più importante è che ormai da settimane, se non da mesi, la cancelliera è costretta a giocare in difesa con il suo partito. Il congresso ha votato il no alla doppia cittadinanza ai figli, nati in Germania, degli stranieri. Lei era schierata per il sì. Le sue dichiarazioni contro il velo integrale («bisogna vietarlo per legge») e per un aumento dei rimpatri forzati sono interpretate come un riposizionamento verso il centro e verso l'umore prevalente nella Cdu.

Nel partito, per la prima volta, ha fatto capolino una parvenza di opposizione organizzata in grado di catalizzare il malcontento. I giornali l'hanno chiamata «la banda dei quattro» e a guidarla è il mastino per antonomasia, il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Insieme al genero, Thomas Strobl (uno dei cinque vice-segretari) e ad altri due esponenti a lui legati, Jens Spahn e Martin Jäger, spinge per una decisa svolta a destra della linea politica, in grado di ridurre gli spazi a disposizione dell'Afd.

L'attacco di Berlino non può che rafforzare la posizione di Schäuble e compagni. Ai quali però nessuno attribuisce la volontà di un putsch. Il loro obiettivo sembra limitato: condizionare la Merkel, non (almeno per ora) sostituirla.

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