Le domande non hanno bisogno di avvisi di garanzia, interrogatori, verbali. La magistratura indaga sulle eventuali responsabilità nella mancata realizzazione della zona rossa alle porte di Bergamo e altre inchieste provano ad approfondire i punti critici nell'azione del governo e degli enti locali.
Ma i quesiti vanno oltre il lavoro dei pm. Per capire quello che non ha funzionato nelle settimane cruciali di febbraio e marzo, quando l'epidemia ha travolto la Lombardia.
Dunque, al di là della generale narrazione autoassolutoria, conviene tornare alla fine di gennaio quando viene decretato lo stato di emergenza. Il 5 febbraio nasce il Comitato tecnico scientifico, i cui verbali sono da giorni al centro di rivelazioni e polemiche.
Ma anche il Cts non sembra sempre all'altezza di una situazione pur obiettivamente difficilissima. Il Comitato - la cui composizione peraltro verrà integrata - è un concentrato di cervelli, ma paiono esili, almeno nelle prime cruciali settimane, quelle competenze epidemiologiche che invece servirebbero per prevenire o arginare il contagio.
Passano i giorni, ma il governo che fa? Sembra caduto in letargo. E il Cts? Perché non corre a rinnovare il piano pandemico? Il generale Pier Paolo Lunelli, in un report anticipato dal Guardian, ha spiegato che l'Italia doveva procedere alla revisione del piano e che quel ritardo è costato al Paese qualcosa come diecimila morti. Esagerazioni? Stime incontrollate? Può essere, il tema però è di grande importanza e meriterebbe qualche riflessione. Ma diventa ancora più incomprensibile quel che succede a Roma dal 31 gennaio in poi, nell'eterno palleggio di responsabilità fra politici e tecnici. Come mai non ci si precipita a iniziare almeno quello studio, caldeggiato dall'Organizzazione mondiale della sanità almeno dal 2017?
È un mistero. Si arriva al paziente uno e ai casi di Codogno e Vò in una specie di ipnosi collettiva. Senza organizzare una strategia adeguata. Il governo si affida ai tecnici che però non hanno l'occhio e il passo degli epidemiologi e perdono giorni preziosi.
Perché non si organizza una missione in Cina per verificare sul campo la situazione? Da Pechino arrivano notizie confuse, parziali, contraddittorie. Ma nessuno va a Wuhan.
Al Cts attendono, ma anche l'attesa non viene riempita rinforzando gli arsenali. Le mascherine, i respiratori, le bombole: tutti i dispositivi di protezione sono sufficienti? No, come emergerà drammaticamente più avanti, ma in quel periodo di febbraio, alla vigilia della tempesta, nessuno prepara le difese. La consapevolezza è quella che è, il 15 febbraio Di Maio manda un aereo stracarico di mascherine in Cina. Una cortesia, naturalmente, ma anche un gesto sciagurato col senno di poi. E però sarebbe interessante capire cosa ha detto sul punto, se l'ha detto, il Cts. Purtroppo il dibattito si avvita sulla chiusura dei voli. L'epidemia si manifesta prevista e però inattesa, si moltiplica e sfugge di mano, il Cts si riunisce ancora il 3 marzo e propone la zona rossa alle porte di Bergamo, dove però la situazione è ormai esplosiva da giorni. Ci vorrebbe uno scatto da centometristi, il tempo può fare la differenza, ma incredibilmente il premier legge il verbale della seduta solo il 5 marzo. Dopo altre 48 ore. La logica burocratica vince su tutto. Altro valzer di riunioni, poi l'indecorosa fuga di notizie sulla bozza del governo e il disastroso assalto ai treni costringono l'esecutivo alla mossa estrema: il lockdown, fra il 9 e il 10 marzo, per tutto il Paese.
Intanto, il
Cts viene rafforzato con l'arrivo di scienziati come Ranieri Guerra. Ma è tardi. Troppo tardi. Anche se la contabilità di queste mancanze e inefficienze è difficile da calcolare. E va ben oltre il recinto del codice penale.
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