Il Vaticano gode di «immunità» e dunque non può essere citato in giudizio per i casi di abusi sessuali e pedofilia commessi da sacerdoti. Lo ha deciso la Corte europea dei Diritti dell'uomo di Strasburgo, rigettando la richiesta di 24 persone che avevano ricorso all'organo giudiziario europeo dopo il respingimento della richiesta da parte dei tribunali belgi per atti di pedofilia commessi da preti cattolici.
La Corte europea, che ieri si è espressa per la prima volta, ha richiamato i «principi di diritto internazionale» invocando «l'immunità» della Santa Sede e confermando quanto già stabilito dai tribunali belgi. Nessuna violazione, per il tribunale di Strasburgo, delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul «diritto di accesso a un tribunale» invocate dai ricorrenti, che hanno sostenuto di essere stati impediti dal far valere in civile le rimostranze contro il Vaticano.
Nel luglio 2011, le 24 vittime avevano presentato una class action al Tribunale di primo grado di Gand, contro sacerdoti della Chiesa cattolica in Belgio e anche contro la Santa Sede, accusando la Chiesa di «aver affrontato in modo strutturalmente carente» il problema degli abusi. In pratica, si chiedeva il riconoscimento della responsabilità in solido per i danni subiti e un risarcimento anche in considerazione della politica di silenzio della Chiesa cattolica sulla questione degli abusi.
Nell'ottobre 2013, i giudici belgi avevano dichiarato di non avere giurisdizione nei confronti della Santa Sede, che godeva dell'immunità in quanto Stato sovrano straniero. Pur avendo 20 di queste persone ricevuto un risarcimento attraverso un centro di arbitrariato per gli abusi sessuali della Chiesa cattolica, nel 2017 avevano deciso di rivolgersi alla Corte europea, sostenendo che il principio dell'immunità di giurisdizione aveva loro impedito di far valere le proprie pretese civili. Ma la Corte europea ha confermato le precedenti decisioni, chiudendo la vicenda.
La decisione di Strasburgo arriva all'indomani della pubblicazione di un dossier choc della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa in Francia, che ha stimato in 216.000 il numero delle persone vittime di sacerdoti o di religiosi negli ultimi 70 anni e oltre 330mila vittime se si considerano gli aggressori laici all'interno delle istituzioni della Chiesa.
Il dossier ha provocato un terremoto nella chiesa francese, sollevando anche un acceso dibattito politico. Tanto che il ministro dell'Interno, Gerald Darmanin, ha invocato l'obbligo dei sacerdoti di denunciare alla giustizia i casi di pedofilia «quando ne vengono a conoscenza». Una posizione arrivata in risposta alle dichiarazioni del presidente della Conferenza episcopale francese, monsignor Eric de Moulins-Beaufort, secondo cui il segreto confessionale «è più forte delle leggi della Repubblica», non può essere violato e occorre «trovare un modo diverso» per perseguire penalmente chi ha commesso abusi sessuali senza infrangere il segreto. «Vi sono però delle eccezioni - ha sottolineato il ministro francese - , soprattutto per quanto riguarda i reati commessi a danno di minori di 15 anni. È evidente che non può esserci alcuna sanzione contro i religiosi o chiunque altro sia a conoscenza di abusi sessuali contro bambini ma bisogna riferire i fatti alla giustizia del nostro Paese».
Intanto l'operazione pulizia e trasparenza di Francesco va avanti.
Proprio ieri il Papa ha nominato a Colonia, in Germania, un amministratore apostolico in seguito alla pubblicazione di un documento che ha scoperchiato casi di abusi sessuali, avvenuti tra il 1975 e il 2018. Un rapporto che ha portato l'arcivescovo di Colonia, il cardinale Rainer Maria Woelki, ad autosospendersi dalla guida della più importante diocesi tedesca.
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