Impacciato e gesticolante Renzi si fa del male in tv

L'ex premier naufraga come divulgatore culturale. Perché vuole rendersi ridicolo?

Impacciato e gesticolante Renzi si fa del male in tv

P er i primi cinque minuti Matteo Renzi sembra un avatar, una figurina scontornata mentre sullo sfondo c'è Firenze. È un'immagine fake, crediamo per esigenze di copione, come quando in passato gli inviati della Rai in studio si collegavano avendo alle spalle la fotografia della città da cui trasmettevano, tanto per fingere di essere sul posto. Il resto, benché più realistico, non va meglio. La spiegazione del Tondo Doni, dentro gli Uffizi, è esilarante per gesti e mimica. Renzi alle prese con il Rinascimento sembra Mastrota che propone pentole, solo che Mastrota è stato un fuoriclasse delle televendite. La recitazione è legnosa, forse perché l'ex premier è costretto a leggere il gobbo non possedendo la materia, mentre l'eloquio è lontano dalla scioltezza quasi tracotante a cui ci aveva abituato fin dalla prima Leopolda. E anche lo story telling non convince, Renzi evita ogni approfondimento, privilegia l'aneddoto e cade spesso in rievocazioni personali o in considerazioni politiche tra il nostalgico e l'egocentrismo, quasi facendo il paragone tra sé e i protagonisti della storia fiorentina, considerandosi ultimo di quella schiatta.

«Firenze secondo me», la docu-serie prodotta da Lucio Presta, in 4 puntate sulla bellezza della città di cui Renzi è stato sindaco, fin dall'inizio non ha avuto vita facile; avrebbe dovuto essere mandata in onda da Mediaset, invece è entrata solo nella programmazione della Nove. La pubblicità sui giornali in questi giorni pare studiata per accrescerne il lato involontariamente comico: sotto il disegno dell'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, compare il ritratto di tre quarti di Matteo, la fronte corrugata per il troppo ponzare, lo sguardo perso verso l'orizzonte, un'ulteriore smorfia che accresce il catalogo a cui si è ispirato Crozza per la celebre imitazione.

La domanda è perché un ex presidente del Consiglio, ex segretario del più storico dei partiti italiani, decide di mettersi a fare il conduttore televisivo. Perché, incurante del ridicolo, decide di misurarsi nel genere più complesso, quello della divulgazione culturale. Perché, infine, decide di erodere fino al limite il consenso politico che pure ha avuto. Non ci sono risposte, ovviamente. La questione attiene più alla psicoanalisi che alla politica. La catabasi di Matteo Renzi così rapida e definitiva resterà negli annali della Repubblica italiana. Dai tempi del maestro Manzi occuparsi in televisione di cultura, letteratura, arte è cosa ardua: ci sono riusciti in passato, tra i pochi, Sgarbi per talento innato, Daverio grazie a una stupenda regia, e per una breve stagione Baricco. Renzi a parte la politica politicante, poteva vantare prima d'ora una sola comparsata alla «Ruota della fortuna» di Mike Bongiorno, troppo poco per improvvisarsi buon presentatore.

Troppo poco anche per affrontare una carriera da conferenziere come spesso accade agli ex della politica, si veda Barack Obama e Tony Blair, o l'odiato Enrico Letta che, più modestamente di lui, è finito a insegnare in un'università a Parigi.

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