Roma - Soltanto la Gazzetta ufficiale europea ha trend di crescita paragonabili a quelli della produzione di acciaio cinese. Con una differenza: le pagine della Gazzetta ufficiale diventano un freno alla produzione.E per protestare contro questo paradosso burocratico e contro le aperture di mercato a Pechino, oggi a Bruxelles si ritrovano operai ed imprenditori dell'acciaio e della ceramica europea nel tentativo di bloccare la promozione europea a «economia di mercato» della Cina.Gli Stati uniti hanno già detto che non concederanno lo status. Ma la Commissione europea è incerta. Pechino sostiene che ne ha diritto, in funzione del suo ingresso nel 2001 nel Wto. Cecilia Malmostrom, commissaria Ue al Commercio, sembra preoccupata. «Non possiamo permettere che una concorrenza sleale minacci la nostra industria». Ma se l'Europa riconoscesse Pechino come «economia di mercato» verrebbero meno i dazi applicati all'ingresso sui prodotti cinesi. «Sarebbero così a rischio decine di migliaia di posti di lavoro», segnala Antonio Gozzi, presidente dei Federacciai. Il settore, a livello europeo, dal 2008 ha già prodotto 85mila disoccupati.La Cina punta molto sul riconoscimento di quello status. Ha una sovracapacità produttiva interna di acciaio di 400 milioni di tonnellate: più della produzione annua dell'Unione europea. Ed ovviamente punta a scaricarla in Europa.Nonostante i dazi, negli ultimi 18 mesi, l'acciaio Made in China entrato nella Ue è raddoppiato, con un crollo del prezzi del 40%. Per frenare l'ondata, sette ministri europei (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Polonia e Belgio) hanno firmato una dichiarazione in cui denunciano che l'industria europea «è al collasso». E si è mosso anche il Parlamento europeo. Antonio Tajani, vice presidente dell'assemblea di Strasburgo, è stato promotore dell'Action Plan sull'acciaio, per affrontare il nodo della siderurgia europea.E proprio Tajani oggi sarà presente alla manifestazione di Bruxelles. Per bloccare il riconoscimento di quello status di «economia di mercato» che spalancherebbe le porte dell'Europa all'acciaio cinese. La Malstrom sostiene che è pronta ad usare «ogni mezzo possibile per fare in modo che i nostri partners cinesi giochino secondo le regole». Ma Pechino ha molte armi da usare. Così, oggi a Bruxelles scendono fianco a fianco imprenditori ed operai per difendere settori nevralgici dell'industria del Continente.Va ricordato, però, che le manifestazioni di piazza non sempre ottengono i risultati sperati. A Seattle, nel 1999, per bloccare l'ingresso della Cina come «osservatore» all'interno del Wto scesero in piazza i produttori di cotone americano. Non ci riuscirono.
E due anni dopo Pechino divenne membro effettivo dell'organizzazione del commercio mondiale. Ora c'è da augurare che l'iniziativa di oggi a Bruxelles possa raccogliere risultati migliori. E che l'Europa riesca a difendere le proprie produzioni industriali. Pena un harakiri manifatturiero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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