Indagava sulle società di Buzzi: militare pestato

L'aggressione lo scorso anno, vicino a Latina. La testimonianza del militare della Guardia di Finanza è già stata depositata al Riesame

Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati nella cupola affaristica romana
Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati nella cupola affaristica romana

Il clan di "Mafia Capitale" non aveva paura delle uniformi. Le blandiva, le avvicinava per corromperle e, quando non ci riusciva, era pronta a minacciarle e a passare alle vie di fatto. Ne sono convinti i magistrati di piazzale Clodio che stanno rileggendo con una nuova ottica l'episodio dell'aprile scorso avvenuto a Cisterna di Latina. Un sottuficiale della Guardia di Finanza che da tempo stava svolgendo accertamenti su un giro vorticoso di fatture false per una società legata a Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati, è stato prima minacciato e poi pestato.

Il militare nei giorni scorsi è stato ascoltato dai titolari della maxinchiesta che sta scuotendo i palazzi della politica romana. Le sue parole sono stata verbalizzate e depositate dalla procura al tribunale del Riesame. Per chi indaga questa vicenda dimostra la capacità di pressione che il clan poteva mettere in atto anche lontano dai confini della Capitale. Le indagini del militare delle Fiamme Gialle, infatti, si stavano concentrando tra l’altro su una società pontina che aveva avuto rapporti ricollegabili con la cooperativa di Buzzi. Secondo quanto ricostruito all’epoca dei fatti dagli inquirenti pontini il sottufficiale era appena uscito dalla sua abitazione per andare al lavoro. Dopo poco venne avvicinato alle spalle da un uomo con il volto coperto che era sceso da un suv armato di spranga che utilizzò contro il militare. Il finanziere venne salvato dall’arrivo di un agente di polizia che stava andando a prendere il treno. Caricato a bordo della sua auto il poliziotto tentò di inseguire gli aggressori.

Grazie agli indizi forniti sull’auto e sul numero di targa è stato in breve possibile risalire ai due responsabili materiali dell’aggressione, fermati al porto di Bari mentre

tentavano di imbarcarsi per l’Albania, con la stessa auto usata per sfuggire dopo l’aggressione. Ora bisognerà capire chi aveva chiesto ai due cittadini albanesi di "intimidire" quel militare troppo curioso.

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