Industria dell'automobile. Le ragioni di un fallimento che resterà nella storia

La scelta di affidare a politici e ingegneri cosa produrre è stata miope. Il marketing sapeva che i consumatori avrebbero rifiutato l'elettrico

Industria dell'automobile. Le ragioni di un fallimento che resterà nella storia

Marketing e public company. Sono i due temi che emergono dal disastro in cui s'è infilata l'industria automobilistica europea da quando circa dieci anni fa ha iniziato a progettare la dismissione dei motori a combustione per virare verso l'elettrificazione, pur essendo leader mondiale sui motori benzina e diesel e nonostante fosse alle viste la competizione con i cinesi. È vero, c'era stato il dieselgate, un problema minore senza vittime ma amplificato a dismisura, e c'era stato l'Accordo di Parigi sul Clima alla COP21, il meeting annuale della finanza che discute come lucrare per mezzo delle lobby ambientaliste. Due le forze che spingevano i costruttori verso l'auto a pile: la Commissione Europea, che poi l'avrebbe imposta per legge, e la finanza, a cui solo Toyota ha avuto la forza di resistere. Agli annunci sono poi seguiti gli investimenti miliardari sull'elettrico e i disinvestimenti sul termico, col conforto di prestigiose quanto fallibili società di consulenza.

Peccato che la realtà incontrata sul mercato sia diversa dalle fantasiose previsioni. Salvo alcuni, gli automobilisti non vogliono ricaricare batterie ma fare il pieno in due minuti, sebbene i Governi abbiano finanziato le colonnine e incentivato gli acquisti. Così da quasi due anni ogni mese c'è una retromarcia, ora di un costruttore ora di un altro. Chi interrompe una produzione, chi ne rimanda un'altra, chi slitta sine die una giga-factory, chi sconfessa l'abbandono dei motori termici, chi addirittura resuscita Satana in persona, il dannatissimo motore diesel che tanto male ha fatto all'umanità.

Nonostante queste scelte industriali imposte dal mercato, la politica tiene ancora sotto schiaffo con le multe le case auto, che devono continuare con la narrazione pro-elettrico, dando la colpa ai clienti che non sarebbero maturi, alle colonnine che non funzionano, ai venditori che non spiegano bene manca solo «A me m'ha bloccato la malattia» di Un Americano a Roma. Tutto pur di non ammettere di aver mandato l'industria a sbattere. Questi sono i fatti e non sono belli. E ci portano due domande: com'è che fior di manager che leggevano i segnali del mercato, perché li leggevano bene, non sono riusciti a fermare una strategia suicida? E com'è che un'industria tanto importante non ha saputo resistere alle pressioni? La prima risposta è: marketing. La seconda è: public company.

Le industrie marketing oriented, tipicamente quelle FMCG (fast moving consumer goods), portano dentro le stanze dei bottoni il parere dei consumatori, nella persona del capo del marketing, figura importante e centrale a cui è affidato lo sviluppo del prodotto: indica quale fabbricare perché sa quale i clienti compreranno. Nell'industria dell'auto questa figura non c'è, non con un simile potere e con una tale ampiezza, almeno. L'idea è che gli ingegneri sappiano quale prodotto sia migliore e i capi della fabbrica quale sia più conveniente. Hanno ammirato Tesla come un'auto non vedendo che è un'idea, un'aspirazione. Intendiamoci, non è che nelle case i manager di mercato non avessero capito che le auto elettriche non avrebbero sfondato. Diamine, se ne sono accorti perfino i lobbisti di Transport&Environment, che infatti hanno suggerito alla Commissione che l'unico modo di farle comprare fosse di vietare le altre: più chiaro di così? Tanti sapevano ma non potevano parlare appunto perché il parere dei clienti non contava: si adegueranno, dicevano. Sì, come no? Procter&Gamble o Colgate-Palmolive non avrebbero preso decisioni tanto suicide. I soldi buttati sull'elettrico sono il prezzo che l'industria dell'auto ha pagato all'assenza del marketing.

Le public company. In anni recenti i gilet gialli hanno messo a ferro e fuoco Parigi per pochi centesimi sul gasolio e poi è stata la volta dei trattori in tutta Europa. Protestavano perché toccati nel portafoglio da quella politica che ha fatto e sta facendo molto peggio con le case auto, con l'Euro7 e con le multe. Com'è che non s'è visto nessun trattore? Semplice, non sono soldi loro. I manager non sono pagati per contrastare il potere, né in piazza né nelle segrete stanze, e soprattutto hanno un orizzonte breve, di alcuni anni al massimo. Nessuno di loro si chiede che azienda lascerà ai figli, poiché non è roba loro. Ferrero o Barilla avrebbero subìto così supinamente scelte tanto distruttive? Anche qui, criticare gli uomini è facile, ma forse il problema non sono loro quanto piuttosto l'assenza della proprietà personale e familiare, il modello della public company.

Quali che siano le ragioni, oggi l'industria automobilistica europea deve ripartire da una cosa che non ha, la capacità di competere sul motore elettrico di però cui gli automobilisti fanno volentieri a meno, e da una cosa che ha, la competenza sul motore termico a basse emissioni che invece il mercato chiede. Non è difficile, ma deve sapere che non torneranno i volumi di prima. Quello era un altro mercato dove si vendeva e comprava un'auto diversa. Per circa quindici anni, dai chilometri zero nati dal quasi-default di Fiat alle formule della mezza-macchina, l'auto è stata proposta come una commodity, una cosa che prendevi e dopo due/tre anni potevi restituire: nessun impegno, nessun legame e un prezzo ridotto a rata mensile. Pur di non chiudere le fabbriche si vendevano auto sottocosto a diecimila euro. Oggi quel tempo è passato. Per produrre un'auto ci vuole un cliente che la paghi il giusto. E se ciò significa allungare il ciclo fino a dieci anni e oltre va bene, visto che anche i finanziamenti sono arrivati a 96 e anche 120 mesi. I prodotti attuali hanno una qualità che può reggere benissimo. I clienti l'hanno capito e si stanno comportando di conseguenza. In pochi anni, il primo passaggio di proprietà è passato da 7 a oltre 8 anni e la vita media da 25 a 29 anni.

L'auto torna a essere quell'acquisto importante, da pianificare con cura perché dovrà andar bene a lungo. In termini di marketing, è un prodotto diverso da quello di cinque/sei anni fa. Post-it: ricordarsi di dirlo agli ingegneri.

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