«Con 130 ricoveri in terapia intensiva la Sicilia è passata in zona arancione. Ora con 250 diventiamo gialli? Qualcosa non torna». Il professor Antonello Giarratano vice presidente della Siaarti (Anestesisti e rianimatori) e direttore del Dipartimento di Emergenza e Urgenza del Policlinico Universitario Giaccone di Palermo, parla della sua Sicilia ma sottolinea che la situazione delle terapie intensive è la stessa in tutta Italia, a prescindere dai colori: è emergenza.
Professore condivide l'alleggerimento delle misure?
«Siamo preoccupati. Abbiamo il timore che passi l'idea del liberi tutti. Ma abbiamo davanti i mesi invernali e la stagione influenzale. Non c'è un'inversione di tendenza ma solo un rallentamento. Così tra un paio di settimane cappottiamo»
Non si aspettava il passaggio al giallo per la Sicilia e all'arancione per le regioni rosse?
«Onestamente ci aspettavamo provvedimenti diversi per il 3 dicembre visto che registriamo soltanto un appiattimento non un'inversione. Tutti hanno capito che si alza prima l'indice di contagio e poi soltanto dopo due tre settimane cominciano a salire anche le vittime. Si registra un calo delle terapie intensive? Purtroppo si tratta anche di posti che si liberano per i decessi».
Ritiene le misure insufficienti?
«Ero già perplesso sulle regole previste per le zone arancioni. Non hanno fermato assembramenti e riunioni. Per me questo meccanismo non funziona: si tratta di una stretta parziale sulle attività produttive ma che non può produrre un'inversione di tendenza come il lockdown totale della primavera scorsa. Così il danno economico è pesante ma poi la gente si assembra lo stesso e il risultato non è proporzionato al sacrificio richiesto alle attività commerciali. Se chiudi i negozi e poi la folla prende d'assalto la spiaggia di Mondello o le vie dello shopping non se ne esce. Parlo della mia terra ma è un ragionamento valido ovunque in Italia».
Quali sono i rischi?
«Non contenere la diffusione del coronavirus ha un prezzo che tutti conoscono. Quando si arriva in terapia intensiva il distress respiratorio acuto da Covid ha una mortalità che sale fino al 35 per cento in caso di comorbilità. Su mille ricoverati sappiamo che 300 perderanno la vita. Purtroppo essere ricoverati in terapia intensiva non è sinonimo di guarigione. Segnalano un calo nelle terapie intensive ma io vedo che qui avevamo tre giorni fa 253 pazienti e due giorni fa 250. Ma con 49 morti. I posti letto si liberano anche perché le persone muoiono».
La situazione in Italia che colore ha secondo Lei?
«Dal punto di vista degli ospedali e delle intensive siamo in arancione deciso forse anche rosso».
Che cosa chiedete al governo?
«Trasparenza sui dati. Vogliamo i dati reali sui posti letto disponibili per gli ordinari e per le intensive. Vogliamo chiarezza sul numero dei tamponi effettuati. L'Istituto superiore di sanità e l'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno chiarito che il tampone antigenico rapido non va usato per attività di screening. Vogliamo sapere quanti antigenici ci sono nei tamponi dichiarati ogni giorno. È ovvio che se calcoli anche gli antigenici il tasso di positivi rispetto ai tamponi effettuati scende. Infine vogliamo chiarezza sui numeri del personale. Parlano di mille posti letto in intensiva disponibili? Bene vorrei sapere quanti specialisti ci sono per ognuno di questi posti letto».
Che cosa vi preoccupa di più?
«La resistenza del personale che ha affrontato turni di centinaia di ore.
Rischiamo l'implosione del servizio sanitario perché non c'è personale preparato per sostituire i medici d'emergenza. Sono stati fatti errori di programmazione gravissimi. L'anno scorso mi hanno dato solo15 specializzandi. Quest'anno sono saliti a 76».
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