Intimidazioni e riconteggi. Trump gioca tutte le carte

La vigilia incontenibile del presidente uscente che anche stavolta sembra rinunciare al fair play

Intimidazioni e riconteggi. Trump gioca tutte le carte

Un voto che meno sereno non si può. È questo che Donald Trump sembra voler promettere alla vigilia dell'Election Day, il che può suonare come una minaccia ai suoi avversari politici, ma anche come una musica assai gradita al campo non sempre pacato dei suoi sostenitori in giro per l'America. E non sarà tanto una questione di Covid, tema che il presidente uscente cerca semmai di esorcizzare scaricando su terzi le responsabilità di un disastro gestionale che rischia di costargli la rielezione. Piuttosto, Trump fa capire in anticipo di volersi giocare ogni carta possibile - senza badare al fair play, che non è mai stata una sua specialità - per «arrangiare» i risultati del voto a suo vantaggio. Carte che potranno assumere di volta in volta l'aspetto di una comunicazione sfacciata o quello di iniziative legali mirate a condizionare il conteggio dei suffragi, senza dimenticare una strizzata d'occhio a certi compagni di strada che non disdegnano l'uso di maniere intimidatorie verso gli avversari.

Tutto è lecito (o quasi) pur di rimanere alla Casa Bianca. A cominciare dall'intenzione - che il presidente avrebbe dichiarato ai suoi stretti collaboratori - di mettere subito le mani avanti nelle prime ore della notte elettorale, autoproclamandosi vincitore qualora i dati provenienti da Stati in bilico come Florida, Ohio, Texas, Georgia, Iowa, Arizona e North Carolina lo indicassero in vantaggio su Joe Biden. L'idea spregiudicata di forzare il gioco perfino in assenza di risultati definitivi non sarebbe che il primo tassello di una strategia comunicativa e legale che prevederebbe poi il tentativo di ottenere a colpi di ricorsi e pronunciamenti della Corte Suprema l'invalidamento dei voti espressi per posta conteggiati oltre la scadenza dell'Election Day in Stati chiave come la Pennsylvania. Tutto questo nella fondata presunzione di cui molto si è parlato in queste ultime settimane, e cioè che le diverse decine di milioni di voti che sono stati espressi per posta appartengano in maggioranza al campo democratico, mentre i più tradizionalisti repubblicani privilegerebbero il voto fisico in cabina.

Queste dimostrazioni di vitalismo un po' disperato di Trump servono anche a dare morale al suo elettorato e a mobilitarlo, nella consapevolezza che ogni voto può davvero contare. In alcune circostanze, però, l'entusiasmo dei sostenitori del presidente-tycoon finisce col prendere forme discutibili, quando non a fornire munizioni al fuoco polemico del campo avverso. È quanto è accaduto ieri lungo un'autostrada del Texas dove, secondo una denuncia sulla quale sta indagando l'Fbi, un autobus di sostenitori del ticket Biden-Harris sarebbe stato affiancato in corsa da un gruppo di auto guidate da persone ostili, che avrebbe cercato di rallentarne la marcia e addirittura di farlo uscire di strada. Metodi di «lotta politica» che negli Stati Uniti non hanno cittadinanza, ma che non hanno spinto il presidente a prenderne chiaramente le distanze. «Secondo me - ha twittato Trump - questi patrioti non hanno fatto nulla di male. L'Fbi farebbe meglio a occuparsi di quei terroristi, anarchici e agitatori antifa che mettono a ferro e fuoco le città governate dai democratici, facendo del male alla nostra gente».

È un esplicito richiamo al concetto di legge e ordine che è tra i più apprezzati dalla maggioranza silenziosa da cui il presidente uscente confida di ottenere, per la seconda volta, un mandato in barba ai sondaggi e alle preoccupazioni per l'imbarbarimento della politica americana.

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