Ci sono probabilmente poche cose suggestive come la scrittura di James Ellroy quando parla della Hollywood degli anni ’40 e ’50. Tra i suoi romanzi più celebri ci sono “L.A. Confidential” e “Black Dahlia”: due romanzi che parlano in parte di storie realmente accadute, due romanzi che parlano di Hollywood. “Black Dahlia” rievoca in particolare, in maniera fantasiosa, l’omicidio di Elizabeth Short, giovane promessa del cinema ricordata per un delitto alquanto macabro. Ancora oggi quell’assassinio è al centro della fiction: Short è stata interpretata, per esempio, da Mena Suvari, nella prima stagione di American Horror Story. Nel telefilm, dove si ipotizza che la donna sia stata uccisa da un medico, si batte una pista plausibile per l’omicidio, che tuttavia è rimasto irrisolto.
Chi era Elizabeth Short
Classe 1924, all’epoca dell’omicidio Elizabeth aveva 22 anni. Aveva trascorso una vita in giro per gli Stati Uniti, con una famiglia divisa: nata a Boston, quando era piccola il padre lasciò la famiglia per trasferirsi in California, mentre lei andò con la madre e le 4 sorelle a Medford, sebbene trascorresse le estati in Florida per alleviare l’asma.
Non terminò gli studi per contribuire all’economia famigliare svolgendo il lavoro di cameriera. Tuttavia a 19 anni si spostò dal padre in California, anche se i rapporti tra i due furono molto presto in rotta. Lavorò in un ufficio postale ma nel ’43 fu arrestata per ebrezza e rispedita a Medford. Una volta in Massachusetts, fu assunta alla mensa di Harvard, ma poco dopo si trasferì in Florida, dove un soldato la chiese in sposa: l’idillio non coronò il traguardo dell’altare, perché l’uomo morì in un incidente aereo nel’45.
L’anno dopo Elizabeth tornò in California, a Los Angeles, dove divenne una sorta di prezzemolina del jet set, anche se non esattamente ancora una promessa del cinema. Era soprannominata Black Dahlia per la sua abitudine nel vestire di nero e con tessuti trasparenti, oltre che per la sua ossessione per il film “La dalia azzurra” con Veronica Lake. Purtroppo la sua vita venne interrotta prematuramente.
Il brutale omicidio
Come si legge sul sito dell’Fbi, la mattina del 15 gennaio 1947 il cadavere di Elizabeth Short su scoperto a Leimert Park da una donna con la sua bambina: inizialmente la donna la scambiò per un manichino, ma, avvicinandosi scoprì l’imponderabile, allertando immediatamente le autorità. Il corpo della giovane Elizabeth era stato tagliato a metà all’altezza della vita e le era stato praticato un taglio profondo da un orecchio all’altro, allargando l’apertura della bocca. Era stata inoltre mutilata, eppure sulla scena non era presente neppure una goccia di sangue. L’indagine fu condotta dalla polizia di Los Angeles che identificò subito il corpo attraverso le impronte - sia per il suo arresto per ebrezza sia perché aveva cercato di trovare un lavoro nell’esercito.
Non altrettanto facilmente fu trovato l’assassino: anzi non è mai stato trovato. Fu ipotizzato, verosimilmente, che potesse essere un medico, per via della sua perizia nella dissezione. Alle autorità venne inviata anche una lettera anonima, ma le impronte su essa non erano presenti nel database dell’Fbi.
Tanti sospetti, nessuna soluzione
I sospettati sono state decine nel tempo, tra loro anche un paio di famosi. Come per esempio il musicista Woody Guthrie, all’epoca accusato da una donna di molestie e quello che oggi si definirebbe stalking con minacce. Oppure uno dei più grandi registi di tutti i tempi Orson Welles. Questi fu sospettato per aver creato dei manichini, con le stesse mutilazioni che il killer praticò su Elizabeth, per il proprio film “La signora di Shanghai”. Welles, che in passato era stato un prestigiatore (in altre parole tagliava le donne a metà con un trucco di illusionismo), lasciò gli Stati Uniti a ridosso dell’omicidio e non vi tornò per 10 mesi, restando in Europa nonostante dovesse terminare il montaggio di “Macbeth”. Tuttavia, suggestioni a parte, né Guthrie né Welles erano il killer.
Tra i sospettati ci sono stati inoltre Robert M. Manley, l’ultimo ad aver visto Elizabeth in vita - ma aveva un alibi - Joseph A. Dumais che si autoaccusò - ma al momento dell’omicidio era in New Jersey - l’editore Norman Chandler che l’avrebbe messa incinta quando lei lavorava in una casa di piacere - ma Elizabeth non è mai stata una prostituta e non poteva restare incinta - e il conoscente Jack Anderson Wilson - che risultò anch’egli come tutti gli altri completamente estraneo.
Molto suggestive le ipotesi su due medici. Il primo era Walter Alonzo Bayley, residente nei pressi del luogo del ritrovamento e affetto da una malattia neurodegenerativa. L’altro era George Hodel: la figlia, che lo accusò di molestie, riferì che la notte del delitto il medico avrebbe confidato alla moglie una frase inquietante - “Non saranno mai capaci di provare che l'ho uccisa io”.
C’è infine George Knowlton, additato come killer anche questi dalla figlia - che affermò come il padre avrebbe avuto una relazione con Elizabeth, relazione culminata in un altro aborto impossibile.
Va da sé che, benché le lacune e i limiti d'epoca delle indagini furono tanti, nessuno dei sospettati fu davvero il killer della Black Dahlia. Il nome dell’assassino resta un mistero da immaginare tra le pagine di un romanzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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