II riferimento del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, all'aggiornamento dei dati catastali sugli immobili che hanno beneficiato di bonus edilizi ha suscitato clamore mediatico. La realtà dei fatti, tuttavia, non giustifica nessun tipo di timore circa un innalzamento della pressione fiscale sulla casa.
Analizziamo, perciò, il ragionamento del titolare del Tesoro. In primo luogo, l'attenzione è rivolta alle «case fantasma». La delega fiscale approvata nel 2023 prevede «il potenziamento di strumenti e modelli organizzativi che favoriscano la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l'Agenzia delle Entrate e gli uffici dei Comuni, anche al fine di facilitare e accelerare l'individuazione degli immobili non censiti e degli immobili abusivi». Insomma, si tratta di un percorso ormai avviato da tempo circa l'interoperabilità delle banche dati e l'utilizzo di strumenti come i droni per mappare il patrimonio edilizio e aumentare il gettito.
Secondo punto. La variazione delle rendite, cioè dei valori catastali degli immobili, in seguito a interventi edilizi non è una novità perché è prevista da un decreto ministeriale del 1994. La legge di Bilancio 2024 stabilisce che sia l'Agenzia delle Entrate a dover verificare se coloro che hanno usufruito del Superbonus 110% abbiano presentato la dichiarazione «ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell'immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati». Ovviamente, se le Entrate inviano una lettera per mettersi in regola e non si adempie, si rischia una sanzione da 1.032 a 8.264 euro. Per questo è sempre bene dichiarare spontaneamente. Una circolare dell'Agenzia del Territorio (ora inglobata nelle Entrate) del 2005 spiega, infatti, che «in caso di interventi significativi sugli immobili, come quelli di ampliamento, modifica della destinazione d'uso o ristrutturazione, è necessario presentare una nuova dichiarazione catastale per aggiornare la rendita». Tale procedura vale «anche per modifiche non strutturali che aumentano il valore dell'immobile».
Prima di riferirci a un esempio pratico occorre specificare, come ha detto lo stesso Giorgetti, che tutto ciò non ha nulla a che vedere con «l'aggiornamento a valore di mercato che ripetutamente la Commissione ci ha chiesto».Se non si è ristrutturato l'immobile, tutto resta com'è.
Veniamo a un esempio. Gli interventi previsti dalla normative sono: riqualificazione dei servizi igienici, installazione di nuovi impianti tecnologici e impiego di materiali più pregiati. In queste categorie rientrano molte opere previste dai bonus edilizi come gli interventi di coibentazione per il risparmio energetico, l'installazione di pompe di calore, pannelli solari e anche di infissi di ultima generazione. Per quanto riguarda gli effetti sulle tasche dei contribuenti, invece, è più complicato effettuare una simulazione. Ricordando che gli immobili residenziali sono divisi in dieci categorie catastali (da A/1 signorile ad A/4 popolare passando per A/9 castelli e palazzi e A/11 di baite e trulli) e queste a loro volta sono suddivise in classi a seconda della zona in cui si trovano, un intervento di ristrutturazione comporta un cambio di classamento con incremento della rendita (le variazioni simulate sul sito della Gazzetta Ufficiale portano a incrementi tra il 15 e il 30%). L'automatismo è pressoché scontato per le abitazioni unifamiliari, per i condomini dipende invece dalla qualità degli interventi. In ogni caso, il riclassamento comporta sicuramente un incremento dell'Imu seconda casa e un aumento dell'Isee quando se ne chiede il calcolo.
Se, invece, l'immobile ristrutturato si cede entro 10 anni dall'intervento, si paga un imposta sostitutiva del 26% sulla plusvalenza (salvo eredità e prime case). La rivalutazione, inoltre, comporta l'aumento dell'imposta di registro per l'acquirente.
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