"Io dirò Sì, a Roma restano troppi soldi"

Albertini: «I lombardi producono un quarto del Pil, si meritano meno tasse»

"Io dirò Sì, a Roma restano troppi soldi"

Milano Fosse per lui, manderebbe a votare non solo i lombardi e i veneti ma tutti gli italiani. «Il tema che sta sotto la consultazione è troppo importante: per i milanesi e i lombardi, certo, ma poi per tutti i nostri connazionali». Gabriele Albertini è stato il sindaco della rinascita ambrosiana, fra il 1997 e il 2006, e il primo cittadino che ha afferrato il futuro: i nuovi, scintillanti grattacieli che ora sono il volto della metropoli apprezzato in tutto il mondo. Ma il suo curriculum va oltre quei dieci anni formidabili: imprenditore a capo dell'azienda di famiglia, ex presidente di Federmeccanica, e poi europarlamentare, senatore e molte altre cose con una collocazione, inquieta, dentro i confini di Ap e la valigia pronta per seguire il movimento centrista di Stefano Parisi. Ora, nel suo studio, l'ex borgomastro accarezza il dorso di un libro: «È il sacco del Nord del professor Luca Ricolfi, un libro di culto che ho studiato e quasi imparato a memoria».

D' accordo, ma che c'entra con il referendum?

«C'entra eccome. Il testo spiega che solo quattro regioni su venti, anzi ventuno conteggiando le province autonome di Trento e Bolzano, sono virtuose. Insomma, danno a Roma più di quello che ricevono».

La Lombardia è in testa alla lista dei buoni?

«Certo, seguita, guardacaso, dal Veneto e poi da Emilia Romagna e Piemonte. I record e le virtù della nostra regione sono innumerevoli e alla fine dobbiamo dire che la Lombardia da sola produce un quarto del Pil nazionale. Ecco, troppe risorse rimangono a Roma e questo vuol dire per i dieci milioni di lombardi tasse più alte, servizi meno efficienti, tempi più lunghi per affrontare il moloch della burocrazia».

Lei voterà si?

«Certo, poi inizierà un negoziato su oltre venti materie fra Milano e Roma, ma Milano al tavolo della discussione avrà la spinta dei sì. Anche se il calendario offre elementi di sospetto».

Il referendum come operazione pre-elettorale?

«Avrei preferito che la consultazione si svolgesse all'inizio e non alla fine della presidenza Maroni, sgomberando cosi il campo da letture strumentali. Non solo, abbiamo perso su questa strada un decennio buono e la Lega ha le sue responsabilità».

Perché?

«Perché dieci anni fa l'allora governatore Roberto Formigoni aveva avviato l'iter legislativo per trattare con Roma, ma la Lega frenò».

Oggi?

«C'è troppo squilibrio, come spiega Ricolfi, fra un pugno di regioni e tutte le altre. Non è solo il Pil: l'evasione fiscale è al 15 per cento in Lombardia e all'85 per cento in Calabria. Capisce».

Siamo un Paese senza speranze?

«No, il referendum è una tappa, poi dovrebbero votare sui parametri di Ricolfi anche i siciliani, i calabresi e tutti gli altri perché tutte le regioni devono eliminare gli sprechi, i ritardi, le inefficienze. E poi ancora bisognerebbe ridurre il numero delle regioni che sono troppe».

Lei sogna ad occhi aperti

«Sognavo anche quando ho immaginato la Milano di

oggi, con le torri che hanno ridato lustro alla Madonnina. Invece abbiamo raccolto 30 miliardi di investimenti privati perché la città era attrattiva e lo Stato ha speso poco o nulla. Domani andremo avanti su questa strada».

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