Beirut. La rabbia degli iraniani non si placa. Ieri per il terzo giorno le principali città sono state investite da proteste e disordini, con blocchi stradali, e banche e uffici statali dati alle fiamme. Le autorità hanno chiuso Internet per impedire che i manifestanti si coordinassero. Le manifestazioni iniziate venerdì sono proseguite a Shiraz, Sirjan, Mashhad, Ahvaz, Gachsaran e Bandar Abbas. Sono le proteste più grandi e violente che il Paese abbia visto dalla fine del 2017.
I manifestanti hanno cercato di tenere a bada le forze di sicurezza bruciando cassonetti e pneumatici nelle strade. «Siamo disoccupati. Non abbiamo futuro», urlavano gli studenti nella città di Tabriz. «Morte al dittatore», cantavano altri. Il numero di chi è sceso in strada da venerdì è circa 88mila in 100 città, mentre mille persone sono state arrestate. Oltre 150 banche e altri negozi sono stati incendiati o saccheggiati. E a Kermanshah alcuni «uomini armati» hanno preso di mira una stazione di polizia e hanno ucciso un ufficiale. Notizie non confermate parlano di 14 vittime in tutto il Paese. Alcuni negozi nel bazar di Teheran sono stati chiusi. Ma i disordini peggiori sono stati segnalati nella città di Sirjan, dove venerdì almeno una persona è stata uccisa durante le proteste.
Ieri l'ayatollah Ali Khamenei, leader supremo, ha dichiarato che la decisione dell'aumento del prezzo della benzina si basa sul parere di esperti e deve essere attuata. Khamenei ha anche accusato gli oppositori della Repubblica islamica e i nemici stranieri di «sabotaggio». L'Ayatollah ha incolpato «teppisti» e controrivoluzionari delle violenze in diverse città. «La controrivoluzione e i nemici dell'Iran hanno sempre sostenuto il sabotaggio e le violazioni della sicurezza e continuano a farlo», ha tuonato. Le proteste violente «non risolveranno niente, ma porteranno solo insicurezza», ha sottolineato, accusando l'ex famiglia reale dei Pahlavi e i «criminali» Mojaheddin del Popolo, gruppo armato che si oppone alla Repubblica islamica, di avere «incoraggiato» gli incidenti. Il presidente Hassan Rohani si allinea sulle posizioni di Khamenei e afferma che gli iraniani «hanno il diritto di protestare ma qualsiasi azione che crei insicurezza non sarà tollerata».
Ma le affermazioni dei leader hanno avuto l'effetto opposto, la protesta è esplosa ancora più forte. Il governo ha avvertito che ci sarà una risposta più dura se le azioni «illegali» continueranno. E la televisione statale iraniana ha accusato i «media ostili» di aver tentato di esagerare la portata dei disordini. Nel frattempo le autorità hanno bloccato Internet in tutto l'Iran nel tentativo di soffocare le proteste in circa due dozzine di città. I disordini sono un indubbio vantaggio per gli Stati Uniti. Washington ha cercato di infliggere un duro colpo all'economia del Paese dopo che il presidente Trump ha ritirato unilateralmente l'America dall'accordo nucleare del 2015. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha espresso infatti sostegno per le proteste. «Gli Stati Uniti sono con te», ha scritto su Twitter. Ma c'è anche chi lavora per la pace.
Dopo le frizioni nel Golfo Persico, diversi leader politici stanno cercando di spingere gli Stati Uniti e l'Iran verso un possibile nuovo accordo nucleare. Ma nessuna delle due parti sembra disposta a fare il primo passo.
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