Jannuzzi, le mille vite di un prodigio fra goliardia, jet-set e battaglie civili

Giornalista, sceneggiatore, senatore, amico di attori e grandi artisti. È morto a 96 anni e lascia una testimonianza di impegno garantista

Jannuzzi, le mille vite di un prodigio fra goliardia, jet-set e battaglie civili
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La scena, tramandata da testimoni, è indimenticabile: sale sul podio del congresso del Psi a Genova infagottato in abiti da guerrigliero, facendosi presentare come inviato del compagno Ho Chi Minh. Prende il microfono tra gli applausi, sotto lo sguardo di Pietro Nenni assiso alla presidenza, e inizia - in un silenzio carico di emozione - l'intervento di saluto in perfetto vietnamita (ovviamente finto), tradotto all'impronta dall'interprete. Solo dopo una ventina di minuti buoni balza in piedi in platea il dirigente napoletano Francesco De Martino puntando l'indice e urlando: «Ma quale vietnamita, chill'è Lino, Lino Jannuzzi!».

Jannuzzi e l'interprete (che poi era Domenico Contestabile, collega di Goliardia napoletana) dovettero fuggire a gambe levate. Ma la scenetta racconta bene l'indole avventurosa e irriverente di Jannuzzi, e il clima un po' folle, magico e fertilissimo della Goliardia, il movimento degli studenti universitari in cui crebbe nel Dopoguerra, e nel quale si formò al fianco di tanti futuri leader, da Marco Pannella ai più giovani Occhetto e Craxi.

Jannuzzi, morto mercoledì sera a 96 anni, ha avuto tante vite: fondatore dell'Unione goliardica italiana; giornalista d'assalto; animatore di battaglie politiche e di salotti culturali; frequentatore del jet set e di miti letterari (da Faulkner a Hemingway) e cinematografici (da Orson Welles a Sofia Loren a Liz Taylor). Sceneggiatore di grandi film, come «Cadaveri eccellenti» di Rosi, tratto dal «Contesto» di Sciascia. Innovatore tv al fianco di Giuliano Ferrara, come coautore dei suoi programmi, firma di Espresso, Il Foglio, Il Giornale. Eletto in Parlamento nel Psi e dopo lustri in Forza Italia; imputato in molteplici processi intentatigli per lo più da magistrati di cui raccontava gesta e - cosa imperdonabile - errori e doli. Unico - tra giornalisti e politici italiani - ad essere stato interpretato da una star di Hollywood, Elliot Gould. Il film era tratto da «I miei primi quarant'anni», l'autobiografia scanzonata di Marina Ripa di Meana, che narrava anche il loro grande amore (da lui smentito). Collezionista di libri di Balzac, autore prediletto della Comedie Humaine; intenditore di sigari e vini di pregio; appassionato di auto sportive e corride. «La sua vita è la sceneggiatura di una storia a metà tra James Bond e Groucho Marx», sintetizzò mirabilmente Claudio Sabelli Fioretti. E di Groucho Jannuzzi aveva il baffo spavaldo e il sigaro in permanenza al lato della bocca. Era nato a Grottolella, provincia di Avellino. Studente prodigio: iscritto alle elementari con un anno di anticipo, riuscì saltare così tante classi da «diplomarsi trionfalmente all'età di 15 anni, in una Napoli affamata e sotto le bombe degli alleati», come racconta Mattia Feltri nel delizioso libretto biografico che gli ha dedicato anni fa: «Lino, settant'anni di finzioni e di avventure», illustrato da Vincino. E le avventure, nella vita di Jannuzzi, non si contano. Così come le burle: dalla «conquista» (a colpi di fuochi di artificio) di San Marino, a nome dell'Ugi e con lo scopo di «restituirla all'Italia», al «rapimento» di Josephine Baker, caricata in auto e portata a Napoli per farla esibire di fronte a una folla in estasi.

Come i colpi giornalistici: il formidabile scoop dell'Espresso sul Piano Solo era opera sua. Finì in Parlamento la prima volta, eletto dal Psi, proprio per proteggersi dalle conseguenti condanne giudiziarie. Fu lui, da direttore di Radio Radicale, il co-regista (con Pannella e Leonardo Sciascia) della campagna che portò alla liberazione del giudice D'Urso, rapito dalle Br.

E poi l'autore di una serie di durissimi articoli sui pm napoletani che avevano ingiustamente arrestato Enzo Tortora: anche qui, persecuzione giudiziaria e elezione «garantista» al Senato nelle file di Fi. Fu condannato agli arresti domiciliari, poteva uscire solo per recarsi al Senato: alla fine fu il presidente Ciampi a concedergli la grazia, mettendo fine alla caccia.

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