
L'unica standing ovation, la direzione Pd la dedica al Papa Francesco: «È importante che torni a far sentire al sua voce», invoca Elly Schlein (nella foto). E del resto l'irenismo (severamente anti-atlantico e dolcemente indulgente con Putin) del pontefice è una fonte di ispirazione per la leader dem. Che nella sua relazione riesce persino ad accusare i paesi Ue: «Non siamo con Trump e il suo finto pacifismo, ma neppure con l'Europa che vuole continuare la guerra». Parole sicuramente condivise da Giuseppe Conte e Matteo Salvini, ma nel suo partito molti restano basiti.
Tanto che più di uno le fa notare che le cose non stanno proprio così: «Ma quale postura bellicista della Ue, non è certo l'Europa a volere la guerra», insorge Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo. Che ricorda a Schlein che «non è vero che la mancanza di iniziative diplomatiche siano dipese dalla mancanza di volontà politica Ue: è Putin che ha sempre rifiutato ogni dialogo». E affonda: «Stare all'opposizione non è una buona ragione per venir meno alle responsabilità di fronte alla storia. Su questi temi è il momento della sincerità, anche tra noi». Anche la prodiana Sandra Zampa insiste sul punto: «Segretaria, non è l'Europa ma la Russia che vuole la guerra».
Schlein però è impegnata a tenere il proprio partito in bilico sul crinale dell'ambiguità e del né-né, perché la sua priorità politica è di non rompere con Giuseppe Conte, «pacifismo» filo-russo incluso. Pazienza per i «distinguo» su Trump e Putin, l'importante è «restare testardi nel cercare una sintesi che porti all'unità» e a una «alleanza nella società» con i populisti M5s.
Quindi si scaglia gioiosamente contro il presidente Usa (e contro Giorgia Meloni che «infila il cappellino di Trump»), che consente finalmente alla sinistra post-Pci italiana di sottrarsi alla fedeltà atlantica e tornare alle origini: «Trump e il suo finto pacifismo non possono essere nulla di simile ad un alleato». Ma prende anche le distanze dal Pse, che con i suoi leader (da Sanchez a Starmer) era a Kyev l'altro giorno e che è consapevole della necessità di aumentare le spese per la difesa tra i volenterosi pro-Ucraina. Cui Schlein è invece contraria, mascherandosi dietro la necessità di «difesa comune europea».
Sul tavolo della Direzione Pd c'è anche la posizione sul referendum Cgil contro il Jobs Act. Che Schlein sposa con entusiasmo, invitando «anche chi è contrario a votare», nel tentativo di assicurare a Landini un quorum quanto mai incerto. Era una precisa richiesta del capo Cgil, e Schlein esegue. L'unica gentile concessione all'ala riformista, che contrasta il referendum, è l'assicurazione che «non chiediamo abiure a chi non voterà a favore».
E tanto sembra bastare a chi il Jobs Act (e i suoi risultati positivi per l'opposizione) lo ha sostenuto. Poche le obiezioni: «Un quesito che si vuole utilizzare solo per sconfessare una stagione precedente» dice Simona Malpezzi.
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