Lo chiameranno Biden d'Arabia e non ne sarà affatto contento. Questa guerra sulla frontiera dell'Europa sta spingendo gli Stati Uniti a affrettare alcune mosse scomode. Non è solo per l'aggressione fuorilegge di Putin all'Ucraina. C'è in ballo il fragile equilibrio dell'Asia e il gioco di alleanze nella partita a scacchi con la Cina. Il problema come sempre è il tempo. La crisi energetica e l'aumento dell'inflazione hanno accelerato il confronto con l'Arabia Saudita. Biden non ha ancora chiarito come e quando andrà a Riyad, probabilmente a fine mese, ma è chiaro che a questo punto bisogna trattare con il vecchio alleato scomodo e mettere da parte non solo l'orgoglio, ma purtroppo anche la violazione feroce dei diritti umani. È un compromesso al ribasso e mostra come la strategia saudita sia cambiata, visto che ora puntano a giocare un ruolo da protagonisti sullo scacchiere internazionale. Ci provano, con una politica estera corsara e la solita forza del petrolio. Su una cosa convergono con Pechino e Mosca: il secolo americano è finito ormai da una ventina d'anni e Washington non detta le regole universali dello stare al mondo. L'alleanza con l'Occidente ha un prezzo economico e morale e va pagato fino all'osso. Questo è il clima che il presidente degli Stati Uniti troverà a Riyad.
Biden non potrà ignorare, come sperava, il principe Mohammed Bin Salman, uomo forte del regno, e responsabile politico dell'assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi. Biden diceva che non avrebbe mai dimenticato, ma ora non è nelle condizioni di rimarcare sdegno e disprezzo.
Khashoggi, voce dissidente e spina nel fianco del principe, fu fatto a pezzi e dissolto nell'acido nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018. Un assassinio i cui particolari furono resi noti da Erdogan, curioso di vedere come avrebbero reagito Stati Uniti, Europa e Onu. Nulla di inatteso: solo parole. La ragione di Stato in queste storie vince sempre. I signori del greggio lo sanno e brindano alla guerra. I loro affari di questi tempi vanno benissimo.
L'Opec ha appena deciso di aumentare per luglio e agosto la produzione di petrolio, 648 mila barili al giorno in più, ben oltre ogni previsione. Non lo fanno per gli Stati Uniti o per l'Europa. Sono profitti senza precedenti. È l'aspetto del capitalismo occidentale su cui non hanno mai avuto nulla da dire. Il resto è scontro di civiltà.
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