Per riabilitarlo c'è voluta l'Europa. E la corte di Strasburgo. Il «termometro» dei diritti umani ha riesaminato la dolorosa vicenda della morte di Carlo Giuliani ed è arrivato ad una conclusione che si può riassumere in due parole: legittima difesa. Sì, Mario Placanica, il carabiniere che esplose i colpi fatali in piazza Alimonda, agì per legittima difesa. In questi quattordici anni Placanica è diventato un bersaglio fisso di certa pubblicistica che l'ha trasformato in un mostro, un criminale, uno sceriffo senza stella arrivato a Genova dal peggior far-west .
Strasburgo va controcorrente e nell'estate 2009 fissa un altro principio, riconoscendo il diritto di Placanica a reagire davanti al pericolo rappresentato da quel giovane che avanzava minaccioso verso la jeep brandendo un estintore. È un'immagine che tutti abbiamo visto chissà quante volte in tv e quei fotogrammi, terribili, hanno una sola, sacrosanta spiegazione: legittima difesa. Niente di più.
Per fortuna, qualche volta, la corte di Strasburgo allarga il nostro orizzonte, chiuso dal paraocchi della disputa ideologica, e dissotterra concetti preziosi, ma nascosti. È successo ancora nei giorni scorsi quando la Corte in tutt'altra altra vicenda ha stabilito che Bruno Contrada, investigatore di punta sul fronte di Cosa nostra nella Sicilia degli anni Ottanta, non poteva essere condannato sulla base di un reato, il concorso esterno in associazione mafiosa, applicato retroattivamente.
Strasburgo affronta il dramma del carabiniere partendo dalle contestazioni della famiglia Giuliani che aveva ipotizzato la violazione di cinque diritti fondamentali stabiliti dalla carta europea. Ma almeno su questo punto i giudici fanno muro e assolvono Placanica. «È finito un incubo - commenta lui - è stato peggio di essere in carcere».
Poi la corte apre un varco alle richieste del papà e della mamma di Carlo Giuliani, accordando loro un risarcimento di 15mila euro ciascuno, più 10 mila per la sorella. Strasburgo passa alla moviola tutta la vicenda e critica non quello che è successo in piazza, ma i passaggi precedenti. Dunque i giudici si chiedono perché Placanica nonostante fosse in preda ad un «forte stress e al panico... sia stato lasciato in possesso di una pistola carica». C'è, secondo la corte, «una stretta correlazione fra il colpo mortale e la situazione in cui Placanica si è ritrovato». Ma questo aspetto riguarda la catena gerarchica e quel che ha preceduto i disordini, non i fatti accaduti il 20 luglio del 2001 nel capoluogo ligure.
Placanica fu spedito, secondo l'Europa, in prima linea senza una adeguata valutazione delle sue condizioni di salute psicofisica, ma questo è un altro capitolo di una vicenda che presenta lacune «nella pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico».Il punto fondamentale, al di là delle infinite e interminabili ricostruzioni di quei minuti di sangue, è la correttezza del militare. Aggredito e dunque costretto a sparare.
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