L'addio triste di Cameron: "Non sarò più io il capitano"

Il premier sconfitto sulla scommessa della carriera: "Anche chi ha perso come me aiuti il Paese a farcela"

L'addio triste di Cameron: "Non sarò più io il capitano"

David Cameron, 9 ottobre 1966 - 23 giugno 2016. La data sulla lapide della sua morte politica il primo ministro inglese se l'è scritta da solo, all'alba dei cinquant'anni in cui avrebbe dovuto brindare ai propri successi. Poco più di un anno fa la trionfale riconferma a Downing Street, quando contro ogni previsione strappò la maggioranza assoluta dei voti. Ieri l'uscita di scena più mortificante, dopo aver perso la grande scommessa della sua carriera. Gli inglesi hanno scelto la Brexit e soprattutto hanno seguito il suo amico-nemico di sempre, il rivale pro-Brexit nella campagna referendaria. Lui nella polvere e Boris Johnson ormai certo di strappargli la poltrona dopo averlo umiliato pubblicamente.

«Amo questo Paese e sono fiero di averlo servito», dice il premier con la voce rotta, il magone che rischia di sovrastarlo mentre chiude il discorso dell'addio. Sono passate meno di tre ore dalla diffusione dei risultati che non lasciano più dubbi. Il segno dello choc del premier è tutto in quel volto paonazzo, rosso di rabbia, di sconfitta e vergogna. Ed è nella faccia funerea della moglie, Samantha, che lo guarda dall'angolo del cortile di Downing Street con la pietà che mai un leader vorrebbe nemmeno dal suo peggior nemico. «Gli inglesi hanno preso una decisione chiara e io penso che il Paese abbia bisogno di una leadership fresca - dice cercando di trattenere in ogni modo l'emozione - Farò tutto quello che posso, da primo ministro, per tenere la rotta della nave nei prossimi mesi, ma penso che non sia giusto per me essere il capitano che condurrà il Paese verso la prossima destinazione». Poi suggerisce i tempi del passaggio di consegne: «Ci dovrebbe essere un nuovo primo ministro al lavoro entro ottobre, quando comincerà il Congresso del Partito Conservatore».

È il sigillo alla sua fine politica, che pure il leader dei Tory aveva escluso prima del voto. «Non mi dimetterò anche se vincerà la Brexit», aveva detto. Ma la sconfitta è troppo cocente e il premier non può far altro che accettare la débâcle. Vittima di se stesso e della decisione presa tre anni fa, quando con spregiudicatezza decise di chiamare alle urne gli inglesi per dare ai cittadini l'ultima parola e soprattutto mettere a tacere la fronda interna, quella dei Conservatori euroscettici, in modo da disfarsi definitivamente anche del terzo incomodo, l'Ukip di Nigel Farage, che invece rinasce dalle ceneri. Ora quell'azzardo gli costa tutto, passato presente e futuro politico. Non a caso, prima di andarsene, Cameron ci tiene a ricordare i successi dei suoi sei anni al governo: l'aver «rimesso in pista l'economia britannica», aver garantito «il numero di occupati più alto della Storia», avviato riforme nel welfare e nell'istruzione e infine aver introdotto il matrimonio per le persone dello stesso sesso. Le leggi annunciate - dice - andranno avanti.

Ma nulla di tutto ciò è sufficente quando si decide di scommettere e si perde. Adesso anche chi era con lui nella battaglia contro la Brexit ne approfitta per additarlo pubblicamente accusandolo di aver messo a repentaglio il futuro stesso del Paese. «Ha rotto due unioni» dice la «mamma» di Harry Potter J.K. Rowling, laburista di ferro, che sintetizza la rabbia di molti. Il riferimento è all'Unione Europea ma anche al rischio secessione che ora il Paese corre con il probabile secondo referendum sull'indipendenza della Scozia. Il primo, nel settembre 2014, fu un azzardo, ma allora Cameron la spuntò.

Ora il sipario cala sulla sua esperienza di governo e il premier rivendica la decisione di aver chiamato gli inglesi al voto, nel tentativo di salvare il giudizio finale su di sé: «Il Paese ha partecipato a un gigantesco esercizio democratico, forse il più grande della nostra Storia». E ancora: «Ci sono tempi in cui è giusto chiedere alla gente cosa fare sulle modalità con cui siamo governati e questo abbiamo fatto». Adesso il Paese finirà con grande probabilità nelle mani dell'ex compagno di college a Eton, la culla dei rampolli aristocratici che poi ha portato entrambi nel tempio dei cervelloni di Oxford. Lo scapestrato Boris prende il posto dell'assennato David.

Che garantisce lealtà al Paese e al futuro leader: «I britannici hanno fatto una scelta e anche quelli che, come me, hanno perso devono fare in modo che funzioni. Farò tutto ciò che posso in futuro per aiutare questo grande Paese a farcela».

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