L'affondo del Cremlino: "Per l'Ucraina flop totale. Avanti con l'annessione"

La Russia festeggia: "Zelensky? Un irresponsabile guerrafondaio"

L'affondo del Cremlino: "Per l'Ucraina flop totale. Avanti con l'annessione"
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Ogni giorno che passa porta una eccellente notizia da Washington per Vladimir Putin. Il quale sa bene da un pezzo, perché nelle sue riservatissime telefonate con Donald Trump ha già stretto un patto diabolico con il nemico storico di ottant'anni di storia, che alla Casa Bianca si è deciso di schierarsi con Mosca per far fuori Zelensky e mettere le basi di un nuovo, inquietantissimo ordine mondiale a tre con la partecipazione della Cina di Xi Jinping. Ma la scena da film ucronico (purtroppo, però, vera) della lite in diretta mondovisione nell'Ufficio Ovale, con la coppia Trump-Vance che ha infierito sul malcapitato presidente ucraino come forse solo Leonid Brezhnev aveva fatto (in privato, però) nel 1968 col disgraziato leader cecoslovacco Alexander Dubcek... beh, quella al Cremlino nemmeno nei loro sogni più sfrenati avrebbero potuto sperare di vederla.

Invece Trump e il suo sulfureo vice hanno deciso di regalare al loro partner ideale di Mosca anche questa soddisfazione. Un cadeau offerto a sua maestà lo zar proprio nel decimo anniversario dell'assassinio di uno dei più valorosi avversari politici di Putin, quel Boris Nemtsov del quale peraltro gli attuali inquilini della Casa Bianca nemmeno sospettano la trascorsa esistenza. Logico, dunque, che al Cremlino si stappi champagne (magari rubato nelle pregiate cantine della Crimea) e si balli per la felicità. E che si dia libero sfogo al turpiloquio a fatica represso contro il valoroso nemico in difficoltà, alla propaganda più bassa e menzognera, alle minacce tipiche di chi conosce, applica e rispetta solo l'uso della forza.

Come sempre si distinguono per finezza di analisi e di linguaggio l'ex presidente russo Dmitry Medvedev e Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri. Il primo, già venerdì sera, aveva dato del porco al presidente ucraino, rallegrandosi dello «schiaffo in piena faccia meritatamente ricevuto alla Casa Bianca». Per la seconda, «la visita del capo del regime neonazista Vladimir Zelensky a Washington è stato un completo fallimento politico e diplomatico del regime di Kiev». È il caso di notare, oltre alla solita grottesca calunnia di neonazismo, l'uso del nome Vladimir, versione russa dell'ucraino Volodymyr: la lingua ucraina secondo Putin è sì e no un dialetto, «come il bergamasco» disse una volta in un'intervista a un giornale italiano, e merita lo stesso rispetto dei suoi parlatori: zero.

Ma Zakharova è andata oltre, ribadendo i punti chiave della propaganda del Cremlino: Zelensky «è la più pericolosa minaccia alla comunità mondiale in quanto guerrafondaio irresponsabile», è «ossessionato dalla continuazione della guerra» e a Washington «ha mostrato un comportamento oltraggiosamente borioso». Parole quasi uguali a quelle pronunciate da Donald Trump e JD Vance, disgraziatamente. Infine, la portavoce di Serghei Lavrov ha ripetuto che gli obiettivi russi in Ucraina restano immutati: il controllo irreversibile «perché iscritto nella Costituzione russa» delle province ucraine occupate con la forza, la cosiddetta denazificazione (leggi: cacciata di Zelensky e suo rimpiazzo con un pupazzo scelto a Mosca) e la «demilitarizzazione», ossia la riduzione all'impotenza militare dell'Ucraina. Base questa non di una futura pace, ma della prossima aggressione imperialista.

Per trovare voci russe dissonanti, bisogna guardare all'estero.

A Berlino, dove ieri le figure più note e coraggiose dell'opposizione in esilio, dalla vedova di Aleksei Navalny, Yulia, a Vladimir Kara-Murza a Ilya Yashin, hanno guidato una manifestazione di esuli per sostenere l'Ucraina e per ricordare al mondo che una Russia libera da Putin è possibile.

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