Il rialzo dei tassi incide negativamente sul sistema delle imprese italiane. Per questo motivo è necessario riproporre un meccanismo di moratorie che consenta di allungare la durata dei prestiti, facilitando la sopravvivenza delle aziende in un contesto macroeconomico molto difficile. È quanto ha sottolineato il Centro studi di Confindustria (CsC) nella Congiuntura flash di novembre pubblicata ieri.
In particolare, la nota mette in evidenza che il costo del credito per le imprese è stimato in aumento di 2,3 miliardi in un anno, cifra che potrebbe salire a 6,8 miliardi se il rialzo dei tassi seguisse pienamente quello del Btp. Il comparto produttivo, si legge nel documento, «già appesantite dall'indebitamento emergenziale del 2020, necessario nel lockdown con i fatturati azzerati, avrebbe bisogno oggi di alleggerire il peso del debito, anzitutto allungando i tempi di rimborso dei prestiti già in essere, invece di tornare a indebitarsi ulteriormente». Anche perché l'esigenza di liquidità, indotta dal caro-energia, conduce a debito addizionale con tassi crescenti sulle nuove operazioni. «L'onere del debito, dunque, cresce due volte», conclude il CsC.
Tale peggioramento del quadro finanziario si innesta all'interno di un ciclo sfavorevole. L'industria, evidenzia il Centro studi dell'associazione guidata dal presidente Carlo Bonomi, «ha continuato a reggere in termini di produzione, a fronte di costi altissimi, con ampia eterogeneità tra settori, ma la situazione tesa sui margini non giova agli investimenti». Un aiuto viene dagli interventi del governo per compensare (in parte) i rincari energetici, ma nel 4° trimestre si rischia un calo perché gli indicatori qualitativi sono nel complesso negativi. Il prezzo del gas resta alto, da troppi mesi; l'inflazione che ne deriva (+11,8% annuo) erode reddito e risparmio delle famiglie e avrà un impatto negativo sui consumi e il rialzo dei tassi rappresenta un'altra zavorra sui costi delle imprese. Secondo la Cgia di Mestre, su 47 miliardi di tredicesime in arrivo a dicembre 11,4 miliardi finiranno in tasse, mentre solo 9,5 miliardi verranno destinati ai consumi natali (la metà del periodo pre-crisi del 2009) e il resto al pagamento di bollette e mutui.
Il problema è che la Banca centrale europea non sembra propensa a cedere a queste sollecitazioni. «I dati in arrivo finora indicano che c'è poco spazio per rallentare il ritmo dei rialzi dei tassi d'interesse», ha dichiarato ieri Isabel Schnabel, componente dell'esecutivo della Bce, in merito alle prossime decisioni dell'Eurotower. Pur non essendo classificabile come un «falco» tout court, Schnabel è convinta che non vi sia alternativa al rialzo dei tassi e al rallentamento degli acquisti di titoli di Stato per «calibrare» la politica monetaria.
Ecco, quindi, che ai singoli governi nazionali è sostanzialmente rimesso il compito di evitare che la stretta monetaria si traduca in recessione.
La legge di Bilancio 2023, pur essendo concentrata sul contrasto al caro-energia con la riproposizione dei crediti per le imprese energivore, scopre un po' il fianco (per limiti oggettivi di disponibilità) a ulteriori sostegni tant'è che il taglio del cuneo da 4,5 miliardi è stato lasciato tutto a favore del lavoro, mentre la decontribuzione è a valere sulle nuove assunzioni (3 anni per gli under 36, un anno per i percettori di reddito di cittadinanza, 18 o 24 mesi a seconda dei casi per le donne disoccupate). Cresce, invece, l'attesa per la conferma delle misure agevolative del ministero delle Imprese che dovrebbero trovar posto nel decreto collegato alla manovra.
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