L'anno nero in cui caddero le certezze

Guai a non finire: scandalo Volkswagen, crisi della Borsa, terrore islamico

Angelo Allegri

Il difetto nazionale italiano è l'approssimazione. Il difetto nazionale tedesco si chiama Besserwisserei, ovvero l'idea di saperne sempre un po' più degli altri e la prontezza nel ricordarlo all'interlocutore. Ma anche per il più testardo tra i teutonici Besserwisser (saccenti, sputasentenze) gli ultimi mesi sono stati difficili. Perché molte tra le certezze che sembravano incrollabili al tedesco medio, adesso non sono più tali. Ci si è messo un po' di tutto. Lo scandalo Volkswagen ha messo in discussione tradizione ingegneristica e onestà tedesca; le difficoltà di Deutsche Bank, per giorni interi in balia di una Borsa sempre più spaventata da conti e derivati, hanno mandato per sempre in soffitta il mito di una delle istituzioni sui cui per decenni si è fondata l'economia di Germania; la Politikverdrossenheit, la stanchezza, che sta diventando una malattia, per una politica di piccolo cabotaggio e di piccoli personaggi ha raggiunto livelli di guardia.

Eppure tutto è passato in seconda linea di fronte al vero colpo da ko: l'ondata di immigrati, con l'ombra nera che ad essa si è accompagnata, la paura del terrorismo. Il grande azzardo della fine dell'estate 2015, le frontiere aperte a un milione di aspiranti profughi, si è trasformato un anno dopo in inquietudine profonda.

Non che i tedeschi siano diventati razzisti. Tutt'altro. La mentalità comune è quella elaborata e interiorizzata in decenni di democrazia dopo la catastrofe nazista: il problema non è il senso di colpa (che colpa possono avere generazioni nate anni e anni dopo la guerra?), ma il senso della responsabilità storica che la Germania sente di avere più di altre nazioni. A questo senso di responsibilità gran parte della popolazione è ancora legata. O meglio: gran parte della popolazione residente nell'Ovest del Paese, visto che all'Est non c'è stata nessuna riflessione: il nazismo è frutto di una degenerazione del capitalismo. Punto. Questa era la posizione della vecchia Ddr, e questa, più o meno, è rimasta l'idea di molti Ossis.

A pesare dunque non è il razzismo ma piuttosto la sensazione di non farcela, di essersi spinti al di là delle proprie possibilità. E la frase di Angela Merkel che più fa imbestialire i suoi critici è proprio quella in cui lei esprimeva la fiducia che lo sforzo fosse alla portata del Paese: «Wir schaffen das», ce la facciamo. Ma per l'ordinato mondo tedesco, le file di fronte ai centri di raccolta, le palestre trasformate in dormitori, le migliaia di rifugiati ancora in attesa di un documento, sono altrettanti annunzi di un cataclisma imminente. Perché la Germania è ancora e sempre quella di Stefan Zweig, lo scrittore antinazista morto in esilio: i tedeschi possono sopportare tutto -scrisse nel Mondo di ieri, la sua ultima opera-, accettano sconfitte in guerra, povertà, fame e privazioni. Ma il disordine, no, quello è troppo.

Il disordine della Germania di oggi è tale da essersi trasmesso alla politica. In un Paese a cui è sempre piaciuto il concetto di autorità, il poter schierare il Cancelliere in una contesa elettorale, dava al suo partito il cosiddetto Kanzlerbonus, un vantaggio più o meno grande nelle urne. Oggi il pregiudizio positivo si è trasformato in Kanzlermalus.

La Csu, la democrazia cristiana bavarese, sogna sotto sotto di abbattere la cancelliera del partito fratello, la Cdu. Secondo i sondaggi i tedeschi non sono più sicuri se vogliono che si ricandidi. E in questo momento a rafforzare la sua posizione è rimasto un elemento solo: l'assenza di uno sfidante credibile.

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