Dopo aver soffiato per settimane nelle parole di Ursula von der Leyen, Charles Michel e Josep Borrell, i venti di guerra arrivano ad abbattersi sul Consiglio Ue e diventano a tutti gli effetti tema di confronto tra i capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles. Una discussione complessa, che si apre alle 16.45 con l'intervento da remoto di Volodymyr Zelensky e prosegue fin dopo cena con un lungo focus su Ucraina e difesa comune europea. E che incontra forti distanze tra i Ventisette se la bozza finale delle conclusioni continua a cambiare ora dopo ora. D'altra parte, è pur sempre un Consiglio di fine legislatura, il penultimo prima delle Europee che l'8 e 9 giugno disegneranno un nuovo Parlamento Ue che dovrà poi dar vita alla nuova Commissione. Quella sì destinata a decidere le sorti dell'Ue per il prossimo quinquennio.
Certo, l'aria che si respira a Bruxelles è comunque condizionata dalla preoccupazione dell'ultimo mese per una possibile escalation tra Mosca e Kiev. D'altra parte, sono state settimane in cui la presidente della Commissione, von der Leyen, ha rilanciato il tema della difesa comune in un discorso davanti al Parlamento di Strasburgo in cui riportava l'Europa ai tempi lontani dei grandi conflitti globali, spiegando che «una guerra non è impossibile». Allo stesso modo, qualche giorno fa, il presidente del Consiglio Ue, Michel, si è spinto a dire che bisogna passare alla modalità «economia di guerra». Come pure l'Alto Rappresentante dell'Ue, Borrell, è convinto che «la possibilità di una guerra convenzionale ad alta intensità in Europa non può essere esclusa», tanto che «è uno scenario su cui lavorano tutte le capitali europee». Insomma, inevitabile che il Consiglio Ue che si è aperto ieri a Bruxelles si trasformasse in una sorta di summit di guerra. Uno scenario che, forse con un pizzico di imprudenza, Borrell prova ad allontanare con risultati discutibili: «Non bisogna impaurire la gente inutilmente, la guerra non è imminente». Il che, ovviamente, lascia intendere che sia comunque un'opzione. Anche se dalle conclusioni del Consiglio alla fine salta l'articolo sulla «preparazione civile-militare» della popolazione in caso di conflitto.
Insomma, non si annunciano tempi facili. Ed è anche per questo che c'è la consapevolezza che si debba fare di più per l'Ucraina e per la difesa europea. Il problema è la ricetta con cui rafforzare l'industria bellica Ue, anche in vista di un possibile ritorno alla Casa Bianca di un Donald Trump convinto sostenitore del disimpegno americano sugli scenari di crisi internazionale. I Ventisette restano divisi sull'idea di emettere Eurobond per finanziare la difesa: il gruppo dei frugali resta contrario, mentre Francia, Polonia e anche Italia («è una buona idea», dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani) sono favorevoli.
Ma ieri a Bruxelles si è discusso molto anche di Medio Oriente, con una presa di posizione che Michel definisce «forte e unitaria». Nelle conclusioni, infatti, l'Ue «chiede una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile», perché «l'accesso completo e sicuro a Gaza è essenziale per fornire alla popolazione civile assistenza salvavita in una situazione catastrofica». I Ventisette, inoltre, sollecitano Israele a «non intraprendere un'operazione di terra a Rafah» che «peggiorerebbe ulteriormente la situazione» e chiede a Hamas di rilasciare gli ostaggi israeliani.
Una posizione, quella di Bruxelles, pienamente condivisa da Giorgia Meloni che proprio ieri, durante la sessione di lavoro con il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha posto l'accento su diversi temi a partire dalla crisi in Medio Oriente. Auspicando un'immediata pausa umanitaria che porti a un cessate il fuoco sostenibile, la premier - riferiscono fonti italiane - ha evidenziato come la Ue possa e debba giocare un ruolo di primo piano nella soluzione della crisi e si è detta particolarmente preoccupata proprio dalla prospettiva di un'operazione di terra a Rafah da parte di Israele.
Infine, Meloni ha espresso «grande
soddisfazione» per la «storica decisione» del Consiglio europeo di «aprire i negoziati di adesione con la Bosnia Erzegovina», un «obiettivo ricercato con convinzione dall'Italia che offre una chiara prospettiva europea a Sarajevo».
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