Avrebbe a lungo mentito applicando la taqiyya, nascondendo le sue reali intenzioni attraverso la dissimulazione coranica. Prima di uccidere a due passi dalla Tour Eiffel, sabato sera, Armand Rajabpour aveva insomma già ingaggiato una guerra di bugie per ingannare il sistema francese, in particolare quello sanitario-giudiziario. Altro che folle, psicotico. Ci sono tutti gli elementi per pensare a una premeditazione, stando alle indagini della procura antiterrorismo.
Il 26enne radicalizzato, arrestato dagli agenti grazie a un teaser, era infatti notissimo alle autorità: schedato Fiche S, pericoloso. I radar lo seguivano da tempo. Gli 007 non sono però riusciti a intercettarlo per tempo. È stato fermato da una pattuglia (che non l'ha ucciso) solo dopo le minacce di innescare un gilet bomba. Voleva morire «da martire». Aveva però già azionato il suo piano di morte al grido di Allah u Akbar uccidendo un turista tedesco e ferito altre due persone, tra cui una donna britannica. «Tre colpi di coltello e 4 di martello», spiega il procuratore. Andava a caccia di vittime perché non sopportava più le morti di musulmani in Medio Oriente: «In Palestina e a Gaza». Classe '97, convertito all'islam nel 2015 aderendo quasi subito all'ideologia jihadista, dal 2016 era in contatto con altri radicalizzati: il killer di Magnanville e l'uccisore di padre Amel, sgozzato durante la messa a Sant'Etienne.
Rajabpour voleva partire per la Siria ma fu condannato. Poi è uscito di prigione. E il 15 marzo 2023 aveva convinto la commissione competente che non rappresentava più un pericolo, e che la «patologia» - radicalizzazione mista a episodi psicotici - stava scomparendo. Invece l'odio verso l'occidente era solo camuffato, anche se diceva di non essere più musulmano da anni.
L'Eliseo ieri ha fatto il punto sulle tappe della presa in carico dopo il primo arresto nel 2016. E sull'accaduto a pena scontata: nel 2020, da uomo libero, scrisse pure ad Abdullakh Anzorov, che uccise a sangue freddo il prof Samuel Paty. Ma con i medici si mostrava già antimusulmano, denunciando coloro che gridavano all'islamofobia e al tempo stesso cercando bombe al fosforo in rete.
Mentire come tattica, altro che redenzione. L'attacco rimette al centro del dibattito le armi dello stato di diritto; le difficoltà nella prevenzione del terrorismo di matrice islamica in vista delle Olimpiadi di Parigi (tra meno di 8 mesi) sulla cui sicurezza pesa l'ennesimo grido di morte subìto. Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national, e il neogollista Laurent Wauquiez chiedono di cambiare le regole: mettere sotto chiave qualcuno anche dopo aver scontato la condanna, se ce ne sono gli estremi. O braccialetto elettronico. Il tribuno della gauche Jean-Luc Mélenchon asseconda invece la pista della psicosi, scacciando quella dell'islam.
Prima un messaggio via social ai «miscredenti». Poi, in arabo, l'appello-rivendicazione. Infine il giuramento allo Stato islamico. Ecco cosa hanno trovato gli inquirenti a casa del 26enne di origine iraniana nato a Neully-sur Seine, banlieue tra le più ricche di Parigi. Tre membri della sua famiglia fermati ieri. Macron ha chiesto una interministeriale d'urgenza.
Serve capire, intersecare le politiche di dicasteri e tribunali e scoprire se qualcosa è andato storto (nel 2020 un giudice aveva rifiutato una visita domiciliare a Rajabpour ordinata dalla Dgsi, gli 007, dopo l'alert della madre). Sono 472 i radicalizzati usciti di prigione dal 2018: quest'anno, altri 75; 41 l'anno prossimo, 35 nel 2025. E ci si chiede cosa potrebbero combinare con le leggi attuali.
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