Ci vorranno mesi per valutare la portata dell'impatto della gestione governativa sull'emergenza del coronavirus. Gravissimi i danni che, su vari fronti, sono stati procurati al Paese. A partire da quello, devastante, dell'immagine dell'Italia nel mondo: ovvero di una Nazione infettata e che infetta. Sul piano economico le cifre sono impressionanti: secondo il governatore della Banca d'Italia, l'effetto sul Pil dell'Italia potrebbe essere di oltre lo 0,2%. Il che significa, ai valori attuali, alcune decine di miliardi di euro. Aldilà, dunque, di ogni personale appartenenza politica-partitica, per chi ama il proprio Paese, opponendosi alla sua involuzione e a un processo di degrado da intendersi in tutta la sua multiforme sintomatologia, la gestione governativa dell'emergenza non può, dunque, che essere vissuta come un colpo al cuore.
E che meriterà una riflessione, a mente fredda, sulle responsabilità politiche e giuridiche di ciò che è successo. A partire dalla decisione, abbastanza insensata, del governo, da un lato, di avere chiuso i voli diretti con la Cina, quando ormai era ovvio che erano già potuti rientrare in Italia, senza controlli, individui infettati, dando inizio alla catena dei contagi (i rientri in Italia sono, peraltro, continuati attraverso scali intermedi). Dall'altro, di non avere messo in quarantena chi proveniva dalle zone a rischio.
Non dimenticheremo che nei primi giorni dell'emergenza, quando già molti Paesi - dagli Usa all'Australia, dalla Gran Bretagna alla Germania - imponevano quarantene per chiunque (cinesi e no), in Italia il tema veniva banalizzato, spostando l'attenzione su tematiche altre, che con il coronavirus non avevano nulla a che fare.
E accusando, anzi, chi chiedeva misure prudenziali a tutela della pubblica salute - bene di rango costituzionale - di pregiudizio, di razzismo, di fascioleghismo e di altro ancora.
Da questa vicenda dobbiamo imparare. E la prima lezione è che l'approccio ideologico del politicamente corretto pregiudica, come di fatto ha pregiudicato, un'efficace, immediata e, soprattutto, laica azione di governo. Il politicamente corretto - come ci insegna un'ampia letteratura fin dagli anni '70 del secolo scorso - moralizza il linguaggio attraverso la pratica di vere e proprie forme di interdizione semantica e di inveramento di ortodossie tematiche, imponendo l'allineamento ad un pensiero unico, indiscusso e indiscutibile. Un laboratorio che produce stereotipi ideologico-culturali, dove si scolora ogni forma di giudizio critico e di buon senso. Nella specifica gestione dell'emergenza, il politicamente corretto non è rimasto confinato alle funzioni «oracolari» dei maîtres à penser nei talk televisivi più in voga, ma ha diffusamente prodotto effetti nefasti nel Paese, evocando anche eventuali profili di responsabilità dell'azione di governo.
Proprio in queste ore il tema del politicamente corretto torna di attualità. Il dibattito è stato suscitato dalle parole del governatore Zaia a proposito di un video agghiacciante che circola in rete e nel quale alcuni individui, forse cinesi, comunque asiatici, mangiano dei piccoli topi vivi, dopo averli inzuppati in qualche salsa. Non si sa se il video sia un fake o no. Per quello che ci interessa, si è evidenziata un'ulteriore, cruciale, area problematica su cui riflettere, concernente gli standard igienici-sanitari di alcune aree del mondo.
In questi tempi ultra rapidi di processi di globalizzazione e di società sempre più multiculturali, su tali tematiche dovremo attrezzarci con una nuova cultura e modalità di comunicazione che marginalizzino lo sterile conformismo del politicamente corretto.
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