Un attacco russo contro l'Ucraina era nell'aria da settimane, se non da mesi. In molti si aspettavano però un attacco russo limitato al Donbass secessionista, regione che i russi avrebbero strappato all'Ucraina così come avevano fatto nel 2014 con la Crimea. L'attacco a tenaglia scatenato da Vladimir Putin contro tutto il territorio dell'ex Repubblica sovietica è stato considerato molto audace e sebbene il capo del Cremlino sia padrone assoluto in Russia (e in Bielorussia), neppure lui può muoversi su un fronte (quello occidentale) senza assicurarsi sull'altro (quello orientale). E qui entra in gioco l'altra superpotenza: la Cina di Xi Jinping. Abituate a non ostacolarsi l'una con l'altra in ambito Onu e legate da un interscambio commerciale sempre crescente, anche in questo caso Mosca e Pechino hanno fatto attenzione e non mettersi i bastoni fra le ruote. All'inizio delle ostilità i portavoce della Repubblica popolare cinese si sono dunque ben guardati dal definire l'operazione militare russa «un'invasione». Allo stesso modo Pechino tiene una posizione defilata sulle sanzioni economiche e finanziarie che l'Occidente, Svizzera inclusa, stanno adottando per fiaccare lo sforzo bellico di Mosca. «Cina e Russia continueranno la normale cooperazione commerciale nello spirito del rispetto reciproco, dell'uguaglianza e del reciproco vantaggio». Così il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha ribadito come la Cina si opponga all'uso di sanzioni per risolvere i problemi «ed è ancor più contraria alle sanzioni unilaterali che non hanno basi nel diritto internazionale». La circostanza che non siano state votate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu rende le sanzioni antirusse irricevibili. E poco importa se Cina e Russia dispongono (al pari di Usa, Francia e Gran Bretagna) di un seggio permanente con diritto di veto in seno allo stesso Consiglio, diventando di fatto inattaccabili. A scanso di equivoci Pechino ha anche ribadito che le sanzioni sono uno strumento «che non risolve i problemi».
L'interesse cinese a tutelare la Russia non è solo una questione di cortesia fra superpotenze che non si pestano i piedi. Ieri Mosca ha strappato la Crimea all'Ucraina in barba al Memorandum di Budapest del 1994 con cui si era impegnata a garantire l'integrità territoriale dell'Ucraina che in cambio cedeva alla Russia tutte le armi nucleari ex sovietiche presenti sul suo territorio. Domani Pechino potrebbe essere tentata di fare lo stesso con Taiwan. Riportata sotto controllo in anni recenti l'ex colonia britannica di Hong Kong, la Cina vive l'indipendenza di Taiwan come una spina nel fianco. Chiudere un occhio oggi sull'Ucraina può significare ottenere un lasciapassare russo per la futura reconquista della riottosa isola di Formosa. Da cui l'equilibrismo di una Pechino che non condanna l'azione russa ma invita le parti «alla moderazione», che si astiene all'Onu quando il Consiglio cerca di condannare la Russia, e che spiega di comprendere il turbamento di Mosca per l'espansione della Nato. Fedeli alla tradizione di un sistema capitalista inquadrato in un regime comunista, i dirigenti cinesi non intendono però perdere soldi a causa di una guerra altrui.
Ecco perché, riporta Bloomberg, i colossi bancari Icbc e Bank of China starebbero restringendo i finanziamenti per l'acquisto di materie prime dalla Russia per timore delle sanzioni occidentali. Si tratterebbe di una misura temporanea per evitare che gli Usa blocchino l'acceso delle due banche al dollaro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.