Dieci anni fa erano le «primavere arabe». Oggi sono solo un immenso e desolato cimitero. Tra le sue fosse riposano non solo mezzo milioni di cadaveri, ma anche i sogni, le illusioni e le aberranti allucinazioni di chi ci ha creduto. Ma purtroppo non tutto è morto. Non tutto è sepolto. Molti frutti avvelenati di quella stagione sono ancora tra noi e continuano a produrre nefaste conseguenze. Il caos che sconvolge la Libia e mette a rischio l'Italia esposta all'invasione di migranti e terroristi è ancora lì alle porte di casa nostra. La Tunisia trasformata in una fucina di disoccupati e decapitatori rappresenta un'altra costante insidia per la nostra stabilità. La Turchia islamista e boriosa di un Erdogan deciso a trasformare Mediterraneo e Medio Oriente nella piscina e nel cortile di casa è figlia di quei mesi nefasti. Ma anche l'Egitto spietato e crudele pronto a seviziare a morte l'innocente Giulio Regeni nel nome di un banale sospetto è, in fondo, la truce conseguenza di una presunta rivoluzione tanto cara a Barack Obama e alle anime belle della nostra sinistra. Senza dimenticare una Siria che da sola conta quasi 400mila morti. Lì i cosidetti «ribelli moderati» appoggiati dagli Stati Uniti e da tante democrazie europee, Francia e Inghilterra in testa, si son trasformati in men che non si dica nei mostri dell'Isis pronti a far rotolare non solo le teste dei propri nemici, ma anche quelle degli «infedeli» illusisi di poterli aiutare. Insomma più che un'illusione le primavere arabe sono state una sanguinosa e spietata fregatura. Capirlo non era difficile. Bastava non prestar fede alle chimere della sinistra. Bastava non dar ascolto alla solita compagnia di giro capitanata dagli intellettuali alla Saviano. Bastava diffidare delle infatuazioni di un mondo «liberal» sempre pronto a innamorarsi di chiunque si dichiari nemico di dittatori e autarchi senza però interrogarsi sulle conseguenze delle sue battaglie. Soprattutto quando il sinistro finale è chiaro ed evidente fin dall'inizio. Chiaro come gli «Allah Akbar» che dopo aver accompagnato le prime manifestazioni in Tunisia avrebbero scandito le decapitazioni rituali e i massacri di Siria, Irak e Libia. Chiaro come il fanatismo di una Fratellanza Musulmana padrona assoluta di tutte le piazze mediorientale e decisa, fin dall'inizio, a trasformare la presunta lotta per la democrazia nella dittatura della sharia. Chiaro come le mire di un Qatar che dopo essersi comprato i principali think tank liberal di Washington (a cominciare da una Brooking Institution con tanto di sede a Doha) foraggiò e manovrò a colpi di miliardi le rivolte, da Tunisi al Cairo, da Tripoli e Saana e Damasco. Chiaro come i disegni di una Francia di Sarkò decisa a togliere di mezzo non solo il «dittatore» Gheddafi, ma anche la nostra Italia pur di controllare gas e petrolio libico e dirottarlo verso i nuovi mercati energetici progettati con l'Emiro di Doha.
Altrettanto evidente era purtroppo il miraggio dell'apprendista stregone Obama convinto di poter riconquistare il consenso perso in Medio Oriente cavalcando la sharia e spacciandola per democrazia. Per capirlo bastava la lettera indirizzata ai «popoli della Nato» da un Gheddafi troppo spesso liquidato alla stregua di un eccentrico visionario. «State bombardando il muro che fermava i migranti africani e i terroristi di Al Qaida.
Quel muro - scriveva nel maggio 2011 il dittatore già condannato dall'Occidente - si chiama Libia e voi lo state distruggendo. Siete degli idioti e brucerete all'inferno». Parola di un dittatore che la miope arroganza «liberal» ha trasformato in indimenticabile profeta.
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