La luna di miele è già finita, interrotta a Roma, ai piedi del Campidoglio. Con la candidatura di Roberto Gualtieri, arrivata dopo un lungo tira-e-molla, lo scenario per Enrico Letta è cambiato. Sono iniziati i tradizionali malumori tra gli esponenti Partito democratico, che finora lo avevano lasciato lavorare senza proferir verbo, anche quando ha di fatto rimosso i capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, facendo arrivare al loro posto Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Tutto in nome delle quote rosa. È passata appena qualche settimana, ma c’è stata una rapida evoluzione.
Diktat grillino
“Diciamo la verità, per come sono andate le cose, Gualtieri parte come un candidato già azzoppato”. Il motivo? “Si ha la sensazione che sia un ripiego, una seconda scelta rispetto a quella iniziale”. E per prima scelta si intende il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che Letta avrebbe voluto proporre per il Campidoglio, in virtù di sondaggi molto lusinghieri sull’ex leader dem. Ma Zinga non ha voluto, temendo ripercussioni sull'alleanza con i 5 Stelle. La questione non è semplicemente romana.
Il leader di Azione, Carlo Calenda, anche lui in campo per guidare la Capitale, ha lanciato l’assalto: “Il candidato lo hanno scelto i 5 Stelle”, ha sentenziato l’europarlamentare. E così ha trovato lo slogan per andare giù dueo contro il Pd: la sudditanza nei confronti dei pentastellati. Il problema interno al Pd è proprio quello relativo al dialogo con Movimento, al di là di Roma. “Letta ha iniziato bene, dando un’identità al partito ben distinta dai grillini, recuperando l'autonomia politica”, è il ragionamento di una fonte interna. Il progetto era anzi quello di voler erodere l’elettorato a Giuseppe Conte, sfruttando le difficoltà dei 5 Stelle. “Ma sulla partita di Roma ha dimostrato ancora una timidezza incomprensibile. Era chiaro che non avrebbero mai rinunciato alla candidatura della Raggi e che noi non avremmo mai potuta sostenerla”, sottolinea la stessa fonte. Un pasticcio, quindi.
Diffidenza verso Conte
“Noi lavoriamo con il Movimento 5 Stelle”, ha provato a spiegare Letta, aggiungendo: “È evidente che a Torino e Roma, con Appendino e Raggi in campo, il lavoro è complesso, il Pd era all’opposizione. È naturale che ci siano difficoltà in questo momento”. Nodi mai sciolti, che sono arrivati al pettine. Ma proprio per questo nell’area di Base riformista, quella degli ex renziani, c’è chi punta il dito contro Giuseppe Conte, temendo una scarsa lealtà da parte dell’ex presidente del Consiglio. Così sentenzia un esponente dem: “Non riesce a tenere i suoi, sono troppo spaccati: non può fornire garanzie. Continuare a elevarlo come interlocutore privilegiato è un grave errore”. Lo stesso che nel partito ha alimentato i mal di pancia nei confronti di Zingaretti sulla cosiddetta linea-Bettini.
D’altra parte è anche vero che nessuno contesta il profilo dell’ex ministro dell’Economia, come candidato a Roma. Su questo aspetto riesce a mettere d’accordo un po’ tutte le correnti dem. Ma la questione è un’altra. “La genesi della vicenda non è stata il massimo”, ribadisce un altro parlamentare.
E c’è chi, tra gli avversari, maligna: “Gualtieri è un profilo perfetto per perdere e iniziare dopo il voto un congresso con Letta indebolito”. Così, dopo le Amministrative, qualcuno potrebbe chiedere un primo conto al segretario. Che potrebbe rivelarsi salato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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