L'ex poliziotto incastrato 17 anni dopo: aveva inscenato il suicidio dell'amante

Lei fingeva la gravidanza, lui l'aveva soffocata con un cuscino

Una foto di Lisa Gabriele. Immagine di "Chi l'ha Visto?"
Una foto di Lisa Gabriele. Immagine di "Chi l'ha Visto?"

«Per la famiglia, per una persona speciale, scusami». Sembrava un suicidio quello di Lisa Gabriele, trovata senza vita in un bosco di Montalto Uffugo, nel Cosentino, il 9 gennaio 2005. Ma nel casolare abbandonato l'assassino aveva lasciato troppe tracce. Dopo 17 anni la Procura riapre il caso e arresta il suo carnefice, Maurizio Mirko Abate, ex poliziotto della Stradale, già cacciato dalla polizia per aver rubato la pistola a un collega e accusato di spaccio di droga al figlio minorenne. I carabinieri, che indagano su quella morte assurda, da subito non credono all'estremo gesto della ventenne, disperata per amore. Quello, appunto, con l'indagato numero uno, Abate. Con lui Lisa aveva una relazione nonostante l'uomo, all'epoca 33enne, fosse sposato e da poco padre di un bambino.

Le chiavi dell'auto, una Fiat 500, a pochi metri dal cadavere, scomparse, la bottiglia di whisky mezza vuota appoggiata a terra e senza uno straccio di impronta, due confezioni di un farmaco a base di benzodiazepine con 28 compresse mancanti, il cellulare senza sim. Qualcuno vuol far credere che Lisa si sia impasticcata dopo aver bevuto alcol. Il movente? Abate vuole interrompere la relazione, ma la ragazza non è d'accordo. L'autopsia conferma: la vittima, dopo esser stata tramortita con gli psicofarmaci, viene soffocata con un cuscino. Ma le prove contro Abate non sono sufficienti e il caso viene chiuso.

Nel 2018 è una lettera anonima, firmata «un poliziotto onesto della Stradale», a dare la svolta. Nell'esposto ci sono particolari «noti solo agli investigatori», si legge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Letizia Benigno. L'anonimo, vincendo il senso di colpa per aver taciuto anni, fornisce gli elementi mancanti. Ha il terrore di «subire gravi ripercussioni» perché Abate è vicino a esponenti della mala locale e assuntore di droga. L'arma del delitto? Lo stesso cuscino usato dalla ragazza l'estate precedente quando, fingendo di essere incinta, lo nasconde sotto i vestiti. Abate la picchia selvaggiamente davanti ai colleghi tanto che Lisa viene portata in ospedale da una pattuglia della stradale. Sull'informativa si racconta anche che i genitori della donna avevano assunto un investigatore privato, costretto a mollare il caso perché «Abate è protetto sia dalla malavita che dalla polizia».

Non solo. L'uomo avrebbe avuto anche dei complici, almeno uno sullo scena del delitto, sui quali la Procura di Cosenza indaga ancora. Un personaggio di rilievo, scrive l'anonimo, un sovrintendente della polizia stradale che aveva dichiarato pubblicamente di sapere tutto ma non ha mai riferito al magistrato. Anche un'amica di Lisa, parrucchiera, sapeva dell'appuntamento con Abate quella sera, ma non lo ha mai raccontato. Infine si accusa un maresciallo dell'Arma, «di origini pugliesi», che ha partecipato alle prime indagini, molto legato ad Abate. Illazioni? Per la Procura quanto basta per fare intercettazioni, riesumare il corpo, sentire testimoni e produrre prove. Quelle che portano all'arresto di Abate nonostante depistaggi e la cortina di omertà.

Come il mistero della sim, trovata dai carabinieri in una borsa

termica, ma mai messa agli atti. O i vestiti della 22enne restituiti ai genitori e, paradossalmente, sequestrati dopo 5 giorni. Dalle intercettazioni si capisce tutto: «Abate avrebbe fatto parte di una loggia massonica».

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