Luca Palamara parla già di sé al passato, come se sapesse bene che nessun ricorso - né in Cassazione, né alla Corte dei diritti dell'Uomo - gli ridarà mai la toga che gli viene strappata dalle spalle ieri mattina. Sa anche che se un miracolo lo riportasse in magistratura, sarebbe un paria, un appestato: non per quello che ha fatto, ma per quello che ha detto e che si appresta a dire. Sì, perché ieri pomeriggio, in diretta su Radio Radicale, l'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, fresco di radiazione dall'ordine giudiziario, fa sapere che la fase delle rivelazioni sta per arrivare. Racconterà degli altri incontri e degli altri accordi, le trattative non registrate dal trojan della Guardia di finanza. Non tutti, «perché io non giravo con il registratore in tasca», ma solo quelli che potrò «documentare e circostanziare». Lo farà davanti al tribunale di Perugia, nel processo penale che lo attende. Sarà lì che dovranno tremare capi e capetti della magistratura italiana.
Palamara affronta la conferenza stampa una manciata di ore dopo che la sezione disciplinare del Csm lo ha punito con il massimo della pena. Sapeva perfettamente che sarebbe andata a finire così, infatti incassa la botta senza dare segni di cedimento. «Porto e porterò sempre la toga nel cuore», è il suo esordio: e già questo fa capire che a portarla sulle spalle, ha dentro di sé già rinunciato.
E poi parte come un fiume in piena. C'è l'autodifesa, «non è che un giorno mi sono svegliato io e ho inventato il sistema delle correnti». C'è l'autocritica, perché provare sulla sua pelle la brutalità del sistema giudiziario di cui fino all'altro ieri era uno dei paladini gli ha aperto gli cocchi: «Posso dire che la mia esperienza di indagato e di incolpato mi ha fatto maturare idee nuove che prima non avevo»; ha scoperto, dice, che davanti a chi «esercita il terribile potere di giudicare» ci sono esseri umani. Al punto di annunciare che d'ora in avanti la sua nuova casa sarà il Partito radicale con le sue battaglie per la «giustizia giusta»: ovvero il partito che la magistratura organizzata odia da sempre, fin dal tempo della referendum sula responsabilità civile dei giudici. E di cui il nuovo Palamara spiega ora di abbracciare le battaglie. Come quella sulla separazione delle carriere, o sulla obbligatorietà dell'azione penale, temi sui quali «un mantra all'interno della magistratura impone che non si possano fare sconti».
Ma poi, accanto ad autodifesa ed autocritica, c'è il grande j'accuse, quello di cui siamo solo agli inizi: le rivelazioni annunciate «sui rapporti tra magistratura e politica negli ultimi vent'anni di questo paese, quando ho rivestito cariche che mi hanno consentito di svolgere un ruolo da protagonista». «Ho pagato per tutti per un sistema obsoleto», dice.
Era il sistema che «per le nomine privilegiava gli appartenenti alle correnti, in molti casi meritevoli, ma tagliando fuori tutti quelli che non ne facevano parte», al punto che «nella sede del Csm era prassi corrente che i segretari delle correnti entrassero a dare istruzioni ai membri sugli appartenenti da sostenere per una carica o un'altra» Ma del sistema non facevano parte solo gli incontri, le nomine, le alleanze: faceva parte anche l'abuso più grave di tutti, l'utilizzo delle Procure per colpire gli obiettivi politici, e la scelta dei capi delle Procure in funzione dei bersagli designati. «Quanto le nomine dei capi degli uffici abbiano influito sullo svolgimento dei singoli processi è un tema che andrà approfondito», dice Palamara.Se mantiene metà delle promesse, se ne vedranno delle belle.
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