In Libia si combatte ovunque E l'Eni evacua 120 italiani

I ribelli: preso l'aeroporto, imminente l'ingresso a Tripoli. Haftar impone la no fly zone in Tripolitania

Fausto Biloslavo

Khaled, uno dei figli del generale Haftar, si fa riprendere con le truppe esultanti 30 chilometri a sud di Tripoli. Sia il governo di Fayez al-Serraj, che le forze dell'uomo forte della Cirenaica rivendicano di avere il controllo dell'aeroporto internazionale della capitale. Scontri e bombardamenti aerei sono segnalati in varie zone. E l'Eni ha evacuato i tecnici italiani dalle zone più a rischio.

I connazionali in Libia sono circa 120 esclusi 400 militari impegnati con l'ospedale militare a Misurata, una nave officina della Marina militare a Tripoli e altro personale di supporto ai libici. I civili sono in gran parte dipendenti dell'Eni e di altre società oltre ad un numero ristretto di volontari di Organizzazioni non governative. L'Eni ha iniziato l'evacuazione dalle zone più a rischio. Non è stato reso noto il numero dei connazionali rimpatriati, nè le aree evacuate. La compagnia ha gettato acqua sul fuoco sostenendo che «la situazione nei campi è sotto controllo e stiamo monitorando l'evolversi della situazione con molta attenzione». E aggiunto che a Tripoli non «abbiamo al momento personale presente».

In realtà la situazione non è proprio del tutto sotto controllo. Fin dal 21 febbraio le forze del generale Haftar, che si sono espanse nel sud del paese, hanno preso il controllo del campo petrolifero El Feel a Murzuq. L'estrazione di 75mila barili di greggio al giorno non ha subito interruzioni, ma il campo viene gestito anche dall'Eni. Sulla costa della Tripolitania, il grande impianto Eni di Mellita, a ovest della capitale, continua a funzionare senza intoppi. Gli scontri, però, potrebbero espandersi all'area costiera.

Ieri sia il governo di Serraj che il portavoce di Haftar hanno annunciato a più riprese di controllare lo scalo internazionale di Tripoli, che in ogni caso è chiuso dal 2014 grazie a precedenti combattimenti. L'obiettivo è comunque cruciale all'ingresso della capitale. Il ministro dell'Interno, Fathi Bashaga, ha annunciato che le forze governative hanno ripreso il controllo dello scalo e della strategica località di Qasr Bin Ghashir, molto vicina all'aeroporto. Scontri sono stati registrati in varie zone attorno alla capitale e nell'entroterra, ma l'esercito di Haftar ha annunciato solo 14 perdite. In serata il portavoce dell'Esercito nazionale libico agli ordini di Haftar, Ahmed El Mismari, ha parlato di un ingresso a Tripoli «imminente». Propaganda, perché in realtà la situazione sarebbe ancora in evoluzione.

Khaled, uno dei figli del generale si è fatto filmare in mimetica assieme alle truppe a Warshefanna, cittadina strategica a 30 chilometri a sud della capitale. La nona brigata, che si è unita alle forze del generale, sarebbe arrivata ai primi sobborghi di Tripoli. Il ministero della Sanità ha dichiarato lo stato di emergenza negli ospedali della capitale. Caccia governativi hanno colpito obiettivi a Mizda e Souq Al-Khamis a sud-est di Tripoli. Gli aerei da combattimento sarebbero decollati da Misurata. Haftar ha imposto una no fly zone in Tripolitania minacciando di bombardare qualsiasi aeroporto da dove partono i caccia. Il G7 dei ministri degli Esteri, compreso l'italiano Moavero, ha ribadito «che non c'è soluzione militare al conflitto».

L'appello dell'Onu di interrompere le ostilità è caduto nel vuoto. L'inviato speciale del palazzo di Vetro per la Libia, Ghassan Salamé, ha confermato che la Conferenza nazionale sul futuro del paese del 14-16 aprile si terrà a Ghadames, ma in pratica è nata già morta.

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