L'infermiere sotto choc: "Torna l'incubo"

Lo scatto al Sant'Orsola di Bologna fa il giro della Rete: "Serve attenzione"

L'infermiere sotto choc: "Torna l'incubo"

In prima linea ci sono loro: medici e infermieri. Sono in trincea per combattere il Covid19 e ora di fronte a un drammatico film già visto molti fra loro cercano di ritrovare lo spirito combattivo, la forza con la quale hanno affrontato la prima fase. Hanno però bisogno di sentire che tutto il Paese è al loro fianco, anche se soltanto virtualmente.

Non chiedono altro che solidarietà e collaborazione come ha fatto Antonio Gramegna, coordinatore infermieristico delle Malattie Infettive del Policlinico di Sant'Orsola, che con un post su Facebook accanto alla foto simbolica di un suo collega ha raccontato la fatica di questi giorni per chi ha già sulle spalle i mesi durissimi della prima fase.

«Dopo 14 ore di lavoro consecutive per trasferire pazienti, organizzare e aprire un altro reparto Covid i pazienti iniziano ad arrivare uno dopo l'altro», scrive Gramegna. L'uomo nella foto, prosegue «è un infermiere che come me si è ammalato di Covid a marzo mentre ci prendevamo cura di molti pazienti che arrivavano in reparto e non respiravano, guariti siamo ritornati in corsia a curare persone senza risparmiarci».

È il loro ruolo ma un po' di amarezza per tutto quello che poteva essere fatto prima c'è. «Oggi infilato in una tuta/camice, provvisto di maschera e scudo protettivo, lui è l'immagine di tanti infermieri che stanno rivivendo lo stesso film di marzo scrive Io lo osservo e mi rendo conto in questo suo atteggiamento raccolto prima di entrare in camera quanta preoccupazione c'è ma noi siamo infermieri e possiamo solo curare le persone».

Agli infermieri in prima linea non interessano le celebrazioni. «A voi tutti chiedo con forza di non chiamarci eroi ma di adottare comportamenti che prevengano i contagi, - chiede Gramegna_ questo è l'unico modo possibile che avete per esprimere la vostra riconoscenza all'impegno e alla dedizione che ogni giorno mettiamo nell'essere infermieri e prenderci cura della vostra salute». Un appello identico a quello lanciato dai medici qualche giorno fa.

E invece dal fronte dei pazienti per chi avesse ancora dubbi su quello che può accadere a chi si ammala di Covid19 un appello drammatico da una giovane agente penitenziaria. Clotilde ha 37 anni un marito e due figli: tutti positivi. Purtoppo la donna si è aggravata e dal suo letto di ospedale avverte sui rischi che si corrono a sottovalutare il coronavirus.

«I miei polmoni non funzionano più lo sento pieni d'acqua. Vorrei strapparmi dalla faccia questo bavaglio, ma se lo faccio crepo: da sola non ci riesco più a respirare». In un video la donna mostra il casco che le è indispensabile per respirare perché purtroppo è andata in insufficienza respiratoria.

«Questa dannata boccia per pesci che ho in testa fa un rumore d'inferno, mi sembra che mi spacchi il cervello.

Sto qui sdraiata e prego che arrivi presto l'infermiera a portarmi le gocce perché solo se crollo riesco a calmarmi».

Clotilde si rivolge poi ai «negazionisti»: «Il Covid esiste e fa male -avverte- Non è la malattia dei vecchi, io sono giovane eppure eccomi qui».

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