Potrebbe essere ribattezzata la sindrome dell'all-in, cioè la capacità di scommettere l'intera posta a poker. Le autocrazie sono disposte a farlo, almeno a parole; le democrazie no. E questa impostazione mentale offre un vantaggio di non poco conto ai Putin di tutto il mondo perché se non hai il coraggio di andare a vedere le carte dell'avversario rischi di essere vittima di un bluff dopo l'altro. Ecco perché se il presidente Macron ha fatto un errore a dire che bisogna essere pronti a inviare truppe Nato in Ucraina se la situazione volgesse al peggio, chi ha preso le distanze da una simile eventualità (compreso il nostro governo) non ha sbagliato di meno perché ha offerto un vantaggio allo Zar. In casi del genere la regola aurea è il silenzio. L'avversario non deve sapere fin dove sei disposto ad arrivare e cosa sei disposto a perdere.
È un atteggiamento che vale ancora di più nella vicenda ucraina se non si vuol cadere in una drammatica contraddizione: non si può sostenere da una parte che se i russi arrivassero a Kiev sarebbe una sciagura; e dall'altra porre un limite, sia pure teorico, al nostro appoggio, ben sapendo che abbandonare un Paese dopo averlo incitato a resistere, sarebbe una catastrofe perché nessun'altra nazione al mondo si fiderebbe più della Nato e il fallimento dell'Occidente in Afghanistan (foriero di tutti i guai di oggi) al cospetto sarebbe ricordato come una pagina eroica tipo l'assedio di Fort Alamo. È un fallimento, appunto, che le democrazie non possono permettersi. Chiunque sieda alla Casa Bianca o guidi la politica dell'Ue.
E di questo dobbiamo essere consapevoli. La calma è la virtù dei forti recita un proverbio che mai come ora andrebbe seguito. La calma perché va esplorata una via diplomatica per porre fine alla contesa, bisogna accettare la logica del compromesso e in questo bisogna essere chiari pure con Zelensky più di quanto lo si è stati in passato; la forza perché lo Zar deve sapere che l'Occidente nel braccio di ferro non ha intenzione di perdere la faccia. Costi quel che costi. Perché se così non fosse allora sarebbe stato meglio, non una volta ma mille, che la Nato non si fosse gettata in questa avventura.
Ecco perché mai come ora bisognerebbe ricordare il «non avere paura» di papa Wojtyla, il Papa che sconfisse il comunismo, e la tempra di Ronald Reagan, a cui la comunità internazionale purtroppo ha reso omaggio più da morto che da vivo: durante la guerra fredda tennero il punto sul riarmo contro le minacce del Cremlino e portarono l'Unione Sovietica al collasso. La ragione è semplice e antica: non puoi trattare con un tiranno se sei disarmato, perché quelle menti conoscono solo il linguaggio della forza. Tanto più un personaggio come Putin che mentre è impegnato in guerra in Europa issa la bandiera russa sulle alture del Golan, in Sudan come in Libia; che per distrarre i russi organizza la mostra dei carri armati occidentali distrutti nell'operazione speciale sulle piazze di Mosca.
È il nazionalismo esasperato il puntello principale del suo potere. Quindi, se vuoi sederti al tavolo del negoziato con un uomo che pensa solo alla guerra non puoi mostrare nessuna debolezza e nessuna indecisione. Altrimenti sei già spacciato.
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