Sono un'armata sgangherata e malgrado le loro parole guastate dal troppo alcol e dal troppo sole di questa tenera Roma, nonostante le urla, «'a pezzi di merda»; «'a criminali! Dovete morire tutti»; «Fate schifo!»; «Ce vojono le bombe, le bombe!», i gilet arancioni non sono squadristi, ma solo una corsia di agitati, forconi «quota 100», venuti da tutta Italia, violando il dpcm di Giuseppe Conte, per sputacchiare pensieri da dopo sbornia. E non avevano il manganello, che tanto piace ai ragazzi di Marcia su Roma, altra sigla che si è mescolata nella protesta, ma solo pitali di collera, che ieri, a piazza del Popolo, hanno vuotato in una sorta di rito sciamanico, alla presenza del generale «ispirato da Dio» e di ritorno dalla Tunisia, quell'Antonio Pappalardo che da dieci anni recita la parte di Ugo Tognazzi in «Vogliamo i colonelli», il golpista tutto da ridere. Anche il gilet di colore arancione, che per l'antropologo Michel Pastoureau è il colore delle cose finite e dunque delle braci, è stato scelto per poveraccismo, «questo ce potemo permettere. Costa tre euro. Lo compri all'autoricambi». Erano più di quanto credevano di essere e naturalmente quelli che ce l'hanno fatta hanno denunciato il complotto, «Aho! Ce stanno bloccando ai caselli. A disgraziati!», il tentativo di imbrigliargli sotto la mascherina, oggetto di oppressione, l'ovatta come il cotone nell'America schiavista. Non solo non la indossavano, ma hanno invitato i giornalisti a toglierla e hanno provato anche ad aggredirne qualcuno, tutti «ignoranti e complici» perché non stanno raccontando che «il virus non esiste ma è solo un progetto diabolico per venderci ai cinesi e ai tedeschi». Prova a spiegarlo Giuseppe Ingrosso di Latina, nonno, che non permetterà mai ai suoi nipotini di portarla a scuola e che farnetica di «uomini robotizzati», «di mascherine che provocano il cancro perché trattengono l'anidride carbonica». Ha votato in passato il M5s, ma dice che Luigi Di Maio è adesso «il più grande dei vigliacchi. Se so tutti venduti». E infatti è una piazza familiare, quella del vaffa dopo la caduta del vaffa e alla fine della spinta propulsiva, quella che il dipendente pubblico, il siciliano Angelo Ferrara, frequentava prima della delusione storica. Sono più questi svitati (arriva anche l'imbucato Gabriele Paolini) come il nipote di papa Anacleto II - che sale sul palco con un crocifisso e che sembra un esorcista - o come il saggista Robert Lombardi - che ha autopubblicato (solo sette euro) il testo fondamentale «Maxi tangente coronavirus»- che i nerboruti e i tatuati, gli ultras con i lobi allargati e con le creste da scoppiati, solo di passaggio per vedere un po' «se se po' fa casino». Giulia Balbi, una graziosa attrice teatrale, vent'anni, rimasta disoccupata a causa del covid, è forse l'unica che li ha attentamente studiati e che conosce i copioni di questa ultimissima rabbia italiana. «Ci sono molte differenze tra di loro. Marcia su Roma sta a destra. Sabato scorso hanno manifestato i No euro di sinistra. Una menzione la meritano i sempreverdi, i comunisti di Marco Rizzo, ma sono pochissimi».
E i gilet? «Ma lo hai visto quel generale?» ci risponde sorridendo. Nessuno capisce quando siano nati questi gilet e da dove prendono materia per le loro allucinazioni. La signora Alessandra, una donna piccina, di Biella, dice che i loro organi di (contro)informazione sono Pandora Tv, dove la star era Giulietto Chiesa, e il sito ByoBlu di quel Claudio Messora, per anni uomo della comunicazione dei grillini. Come quei primi sbandati che sono oggi ministri, ma che un tempo volevano uscire dall'euro, le grida più alte sono per il ritorno alla lira e per l'arrivo di Pappalardo, con la pochette arancione e i mustacchi da feldmaresciallo. Invita il pm Nicola Gratteri a unirsi a lui, inveisce contro Vasco Rossi che non comprende il suo programma (e la sua musica sinfonica), dice che viene trattato come Totò Riina.
Persino gli altoparlanti si rifiutano di amplificare le sue parole, tossine che l'Italia ha accumulato nella quarantena e che ieri, si spera, sono state espulse. L'ultima minaccia di Pappalardo è «noi da qui non ci muoviamo. Giusto?» immediatamente smentita dal marito gilet che alla moglie ricorda «e però, noi alle cinque ce ne annamo. Me raccomando».
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