«La politica è fatta così, si vince o si perde. Dire che abbiamo vinto in Lombardia non è vero. Se abbiam perso, abbiam perso. Noi non siamo mica di quelli che quando perdiamo diciamo che abbiamo vinto». Giancarlo Giorgetti continua nella sua offensiva di riposizionamento, con l'obiettivo di rimettere la Lega in connessione con l'area più moderata del centrodestra. Un lavoro che in alcuni frangenti può spiazzare lo stesso Matteo Salvini, ma che altri vedono come la dialettica tra due personaggi complementari: uno portato a esprimere impeto ed energia, l'altro più schivo e razionale.
Se un tempo le fughe in avanti venivano consumate dal leader della Lega nel campo sovranista, ora sembrano essere una prerogativa dell'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in una dinamica che Alberto Maggi definì su Affaritaliani della «distonia costruttiva». Non sono passati ovviamente inosservati i ripetuti affondi di Giorgetti sulla necessità di un dialogo con il Ppe, fermo restando che come ha ribadito ieri Salvini «la Lega non entrerà nel Ppe». Una affermazione perentoria e veritiera se riferita all'hic et nunc, ma che potrebbe essere messa in discussione in un futuro abbastanza prossimo se si verificassero le condizioni giuste. Salvini, infatti, è convinto che non sia possibile dialogare oggi con il Ppe guidato da Donald Tusk, considerato dal Carroccio troppo schiacciato su posizioni centriste, ma se la famiglia popolare dovesse tornare a radicarsi con più forza nel centrodestra classico, magari con la vittoria di Friedrich Merz nella corsa alla segreteria della Cdu tedesca, allora sì che il dialogo potrebbe trasformarsi in un fecondo percorso di avvicinamento.
Di certo, Ppe o non Ppe, nel Carroccio è in corso una riflessione sulla strategia politica. L'intervista di Camillo Ruini al Corriere della sera non è passata inosservata, soprattutto laddove l'ex presidente della Cei sottolinea che «i cattolici devono puntare sui contenuti dell'azione politica e collaborare con chi, cattolico o no, condivide tali contenuti», aggiungendo di non essersi affatto pentito dell'invito a dialogare con Salvini e Giorgia Meloni, i quali «se vogliono fare il bene del Paese e arrivare al governo devono sciogliere il nodo dei loro rapporti con le forze che sono stabilmente alla guida dell'Unione europea». Lo stato maggiore leghista ha registrato con soddisfazione il modo in cui il leader ha gestito l'udienza preliminare di Catania e il modo soft con cui ha gestito la sua comunicazione. Di certo il partito dei governatori - da Luca Zaia a Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana - guarda con interesse all'apertura di nuovi spazi in quell'area di centrodestra classico, meno attratto dalle sirene sovraniste. Una esigenza sentita in particolare in Lombardia e a Milano. La generosità di Salvini non è in discussione, ma ora è tempo di spingere di più sul gioco di squadra, una necessità peraltro che lo stesso Capitano ha percepito e fatto propria con la creazione di una dirigenza allargata a cui sta ancora lavorando. Qualche giorno fa Alberto Michelini, storico giornalista cattolico del Tg2 con un lungo percorso in politica, proponeva parlando con Formiche una suggestione. «C'è una massa di gente che non vota più.
Potrebbe farlo di nuovo, se la Lega si presentasse come partito che dialoga con il Ppe, che guarda all'Europa con interesse pur con la volontà di cambiarla e migliorarla. Tanti cattolici cercano un partito che difenda la vita, la famiglia. Chi può farlo se non la Lega?». Un ragionamento che, pur nel naturale ventaglio di sfumature, sembra farsi strada dalle parti di Via Bellerio.
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