Sequestri dei capi dell'opposizione, intimidazione per costringerne altri alla fuga all'estero, arresti a centinaia, ostentata brutalità contro i manifestanti. La risposta di Aleksandr Lukashenko alla protesta di massa che ogni domenica sfida in piazza la violenza della polizia per ribadire il rifiuto del voto-truffa che lo ha riconfermato presidente il 9 agosto è sempre e solo la stessa: terrore e repressione. Forte dell'annunciato sostegno del suo protettore russo Vladimir Putin dal quale si recherà in visita con il cappello in mano nei prossimi giorni: menù previsto la rinuncia di fatto all'indipendenza in cambio del mantenimento al potere e della continuata fedeltà al regime delle sue forze di sicurezza, il «Ceausescu di Minsk» picchia sempre più duro.
Premesso che il numero degli arresti è stato domenica ufficialmente di 633, ma probabilmente tocca in realtà il migliaio con una netta impennata dei numeri della repressione, la notizia più grave riguarda un sequestro eccellente, naturalmente negato dalle fonti ufficiali in perfetto stile Kgb: quello di Maria Kolesnikova, la più famosa leader politica della protesta rimasta in Bielorussia, in realtà l'ultima dopo la fuga in Lituania della candidata ufficialmente sconfitta alle presidenziali Svetlana Tikhonovskaja. Testimoni hanno riferito che ieri alle 10 la Kolesnikova è stata avvicinata da un gruppo di uomini con il volto coperto che l'hanno costretta a salire su un pulmino. Anche il suo cellulare è stato raccolto e portato via dai rapitori: ora il numero suona a vuoto, mentre il ministero dell'Interno nega laconicamente che ci sia stato alcun sequestro di persona.
Non è tutto. Di altri due capi dell'opposizione bielorussa, Anton Rodnenkov e Ivan Kratsov, si sono «misteriosamente» perse le tracce nelle stesse ore, mentre un altro l'ex ministro della Cultura, Pavel Latushko è stato indotto con reiterate minacce a prendere la via della Polonia, dove già si è rifugiata sabato scorso l'altra nota oppositrice Olga Kovalkova. Questo significa che il cerchio si sta chiudendo attorno al vertice del consiglio di coordinamento dell'opposizione, l'organismo che aveva annunciato di volersi occupare di una transizione pacifica del potere in Bielorussia: delle sette persone che lo compongono, solo due sono ancora a piede libero, e una di loro Svetlana Aleksievic - sembra intoccabile a causa del suo status internazionale, essendo la premio Nobel per la Letteratura del 2015. Perfino lei, però, potrebbe finire nel mirino di Lukashenko.
Dal suo esilio lituano, la Tikhonovskaja risponde al dittatore: «Con questi metodi illegali non ci intimidisce e usando il terrore non ci fermerà: provoca solo un'escalation e le manifestazioni continueranno più affollate. Chiediamo il rilascio dei dirigenti arrestati e la libertà di rimpatriare». Nel frattempo l'Europa comincia ad agire.
Entro una settimana, annuncia il responsabile della politica estera Josep Borrell, verranno applicate sanzioni contro i funzionari indicati come i responsabili dei brogli elettorali e della repressione illegale delle manifestazioni. Il nome di spicco tra i sanzionati è quello del ministro dell'Interno Yuri Karayev, mentre quello di Lukashenko, per ora, non c'è.
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